Claudio Bottini, frate francescano pescarese a Gerusalemme, racconta il dramma della guerra: "Preghiamo nel santuario, la gente si ripara nei rifugi"

Claudio Bottini,a destra, frate francescano di Pescara da oltre50 anni a Gerusalemme
di Paolo Vercesi
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Martedì 10 Ottobre 2023, 11:09 - Ultimo aggiornamento: 11:17

«Su Israele è piovuto un numero impressionante di missili e noi tutti qui siamo sconcertati dal modo in cui esercito e polizia, che pure vantano un efficiente servizio di intelligence, si siano fatti sorprendere da un attacco tanto potente e micidiale». Così Claudio Bottini, frate francescano pescarese di 79 anni originario di Passo Cordone, racconta in diretta da Gerusalemme i drammatici momenti che la comunità israeliana sta vivendo sotto l’offensiva sferrata da Hamas. Da circa cinquant’anni Bottini vive a Gerusalemme, è docente alla Scuola biblica francescana e all’occorrenza dispensa consigli ai gruppi turistici: risale appena a una decina di giorni fa l’ultima comitiva da Pescara, accompagnata da don Emilio Lonzi, con tanti amici desiderosi di salutarlo.
«Sono arrivato a Gerusalemme negli anni ’70 per completare gli studi alla Scuola biblica - spiega - e non me ne sono più andato. Da allora sono rimasto come professore, ma torno a Pescara una volta l’anno». Il tono di voce tradisce il timore di chi, pur avendo vissuto analoghe esperienze in Terra santa, capisce che stavolta è diverso. Bottini sa che la situazione si sta facendo più grave e pericolosa di ora in ora dopo la dichiarazione dello stato di guerra. «Qui a Gerusalemme siamo relativamente al sicuro perché distanti dalla zona degli scontri. Paradossalmente continuo a vedere frotte di pellegrini lungo la Via Dolorosa, ad un passo dalla struttura che mi ospita, ma le scuole sono comunque state chiuse così come i negozi. Le autorità raccomandano la massima prudenza negli spostamenti. Con un brivido, sentiamo in continuazione il suono delle sirene d’allarme che esorta la popolazione a raggiungere i rifugi» racconta padre Claudio Bottini. «La sede che ci ospita non è dotata di un bunker, possiamo solo riunirci in preghiera nel santuario - seguita il francescano -. La nostra è una piccola comunità internazionale con trenta ospiti in rappresentanza di una dozzina di Paesi. Con scenari del genere abbiamo imparato a convivere: sono stato testimone di due intifada, poi ho seguito la Guerra del Golfo. Oggi, con la pioggia di missili mai vista prima, temiamo che la situazione possa degenerare ulteriormente e che tutto questo possa interrompere il flusso di pellegrini, con annullamento di voli e visite: è questo il rischio che ci preoccupa maggiormente. Confidiamo in interventi esterni, nella diplomazia».

Un attacco al cuore di Israele, quello di Hamas, ma non del tutto a sorpresa secondo padre Bottini. «Nelle ultime settimane abbiamo tutti percepito una tensione crescente ma credevamo fosse dovuto al fatto che gruppi ortodossi e nazionalisti hanno tentato di accedere alla spianata delle moschee. Tema che ho affrontato anche con la comitiva abruzzese di Don Lonzi - prosegue Bottini nella sua testimonianza -. Di sicuro nessuno si aspettava una reazione tanto forte da parte di Hamas. Una prova durissima per Israele, che credo serva in queste ore a ricompattare il Paese, ma dico pure che non resterà senza conseguenze per quel che riguarda gli assetti interni».
Sulle cause dell’attacco sferrato da Hamas padre Claudio Bottini ha le idee chiare di chi da cinquant’anni vive sulla propria pelle il conflitto arabo-israeliano: «E’ un conflitto che ha ragioni antiche che non si vogliono affrontare e che toccano la sfera socio-politica prima ancora che quella religiosa. E’ una guerra per i Territori, va fatta giustizia per questo popolo» afferma Bottini con esplicito riferimento alla condizione del popolo palestinese: «A Gaza c’è un milione e mezzo di persone confinate in una prigione a cielo aperto, ieri sono state anche lasciate al buio. Mi addolora che il grande popolo di Israele si sia sclerotizzato in una chiusura totale verso quella gente» continua il francescano.
Ma di forte a tale scenario assume un forte significato simbolico, proprio sul piano religioso, il momento scelto da Hamas per questi attacchi, circostanza che non sfugge a Claudio Bottini: «I tre gruppi palestinesi hanno pianificato l’azione in concomitanza con la Festa della Simchat Torah, la festa della legge, preceduta dalla Festa delle Capanne che conclude il ciclo di feste aperto dal Capodanno ebraico.

Rientra tra queste lo Yom Kippur che celebra il giorno dell’espiazione. Un’azione bellica - conclude Bottini - generata credo dal risentimento palestinese per la recente operazione israeliana condotta a Jenin, nel nord della Cisgiordania, non a caso la zona più monitorata dalle forze israeliane nei giorni precedenti l’attacco».

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