Luca Cifoni
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di Luca Cifoni

Gli anziani al lavoro? Non sono un tappo all'assunzione dei giovani

Aumenta la compresenza di lavoratori anziani e giovani
di Luca Cifoni
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Lunedì 26 Ottobre 2020, 01:10

Le riforme delle pensioni che trattengono in attività i lavoratori maturi fanno da “tappo” all'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro? Sarebbe opportuno invece, viste loro minori competenze digitali, accompagnarne l'uscita per incrementare la produttività delle aziende? Interrogativi di questo tipo hanno accompagnato negli anni passati i vari riassetti delle regole previdenziali, e da ultimo l'introduzione di Quota 100, modifica legislativa che va in senso opposto permettendo il prepensionamento a partire dai 62 anni: il governo che approvò quella norma l'aveva giustificata proprio con la necessità di un ricambio generazionale.

Uno studio approfondito della Banca d'Italia suggerisce invece che la tesi del “tappo” è sostanzialmente infondata, e con essa anche l'idea dei lavoratori anziani meno produttivi perché tecnologicamente antiquati. L'analisi di Francesca Carta e Francesco D’Amuri (con Till von Wachter della University of California) valuta gli effetti della riforma Fornero prendendo in esame grazie a dati Inps e della stessa Banca d'Italia i comportamenti delle imprese con almeno 50 dipendenti tra il 2010 e il 2014, dunque proprio negli anni a cavallo dell'entrata in vigore della legge che - è il caso di ricordarlo – fu approvata in piena emergenza finanziaria e dal 2012 spostò bruscamente in avanti i requisiti di pensionamento.

Le conclusioni possono apparire sorprendenti: l'aumento inatteso della presenza di lavoratori anziani (quelli trattenuti al lavoro dalle nuove regole) ha avuto comunque un impatto positivo sull'occupazione dei giovani e della fascia di età intermedia. E questo secondo gli autori rafforza l'idea che la sostituzione della porzione più matura della forza lavoro non sia un processo scontato, perché i nuovi entrati non riescono facilmente a rimpiazzare le competenze dei candidati all'uscita.

Inoltre risulta che il costo del lavoro in quelle aziende è cresciuto in linea con l'occupazione, mentre la produttività si è mantenuta costante, senza impatti negativi sul valore aggiunto: queste evidenze sembrerebbero relativizzare l'idea della scarsa produttività dei lavoratori anziani.

I tre ricercatori riconoscono comunque che i loro risultati appaiono fondati in un contesto di grandi imprese, ma andrebbero ulteriormente verificati per quanto riguarda le piccole. Pur con questa opportuna cautela, confermano però un principio condiviso da molti economisti e noto come lump of labour fallacy: non è vero che esista un quantità fissa di lavoro che può essere gestita in modo da distribuirla su più persone (ad esempio riducendo l'orario legale) o tra una categoria e l'altra (dagli anziani ai giovani.

Uno dei temi dunque è quello della complementarietà tra i lavoratori giovani e quelli più maturi all'interno dell'impresa (ma vale anche per per la nostra pubblica amministrazione, in cui l'età media del personale è ormai superiore ai 50 anni. Se ne parla in interessante volume appena uscito per il Mulino con il patrocinio dell'associazione 50&Più e della Fondazione Leonardo, dal titolo “La popolazione anziana e il lavoro: un futuro da costruire”. Il libro, a cura di Marco Trabucchi, Gabriele Sampaolo e Anna Maria Melloni, esamina le sfide poste al sistema produttivo dall'invecchiamento della popolazione, a cui corrisponde anche un allungamento generalizzato della vita lavorativa. L'indicazione di fondo che emerge dagli scritti dei vari autori che hanno contribuito è la necessità di un cambiamento culturale: la valorizzazione della sempre maggiore compresenza di diverse generazioni nei luoghi di lavoro richiede flessibilità e nuove modalità organizzative.

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