RICCARDO DE PALO
Lampi
di Riccardo De Palo

Carl Safina: «No, l'uomo non è la misura di tutte le cose»

Carl Safina con i suoi cani
di RICCARDO DE PALO
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Venerdì 13 Luglio 2018, 19:31 - Ultimo aggiornamento: 22:57
Carl Safina è un ricercatore americano che, nei suoi libri, riesce sempre a farci riflettere sul rapporto dell'uomo con la natura e con gli altri animali. «La nostra - spiega - è una vita condivisa con esseri diversi e senzienti, che hanno diritto al futuro e alla sopravvivenza, esattamente come noi». A Roma (per la prima volta), ha ricevuto il premio Merck, per il libro Al di là delle parole, che inaugura la nuova collana "Animalia" di Adelphi. Collaboratore abituale di New York Times e Guardian, Safina insegna alla Stony Brook University di Long Island. I suoi nonni venivano da Palermo - «città che purtroppo non ho ancora visitato» - e nei suoi tratti si scorgono tracce dell'antica Sicilia normanna.

Nel suo libro lei cita Protagora, l'uomo è la misura di tutte le cose. Questa massima è da considerarsi superata?

«L'uomo misura tutto sulla base della sua realtà ed è per questo che gli sfuggono così tante cose».

Lei ricorda nel suo libro che la scienza ha dovuto superare un tabù: ammettere che gli altri esseri viventi provano emozioni e sensazioni come noi. Perché ci è voluto tanto tempo per capirlo?

«Per due motivi principali. Il primo, evidente, è che ci piace considerarci speciali. Il secondo è che, se noi riconoscessimo il diritto all'esistenza e alla vita degli altri animali, ciò che facciamo loro ci metterebbe in una posizione molto sconveniente».

Eppure animali nobili come gli elefanti sembrano avvertire, come noi, la sacralità della morte.

«Sì, è vero. I rapporti familiari per questi animali sono molto intensi e importanti; quando muore un anziano, viene a mancare un membro della famiglia a cui tutti hanno fatto riferimento per sopravvivere. Il vuoto che lascia è enorme».

Cosa pensa che provino quando, come è stato documentato, afferrano le ossa degli altri elefanti defunti con la proboscide?

«Credo che cerchino di collegarsi al proprio familiare per ristabilire un qualche rapporto, così come noi prendiamo una fotografia dei nostri genitori per ricordarceli».

Gli elefanti possono anche ispirare tenerezza, dal disneyano Dumbo in poi. Ma gli altri animali di cui si è occupato in questo libro, i lupi e le orche, sono davvero cattivi come si dice?

«Certamente meritano di essere visti per ciò che sono; è un discorso che vale per chiunque, anche per noi. I lupi cacciano per alimentarsi, così come gli uomini uccidono o acquistano altri animali per nutrire la loro famiglia. Ma i rapporti familiari dei lupi sono molto più simili ai nostri, rispetto a qualunque altro animale. Vivono in una famiglia nucleare, esattamente come noi la concepiamo, con un padre, una madre e i loro figli. Questo spiega anche perché la sua varietà addomesticata, il cane, viva con noi in modo così naturale. I nostri parenti più prossimi, gli scimpanzé, non conoscono nuclei familiari».

L'interazione con le orche, come spiega nel suo libro, ha risvolti sorprendenti: hanno una personalità?

«Anche nelle altre specie esistono esemplari con caratteri diversi. Noi ce ne stupiamo, ma soltanto perché, oggi, abbiamo perso familiarità con la natura, con le altre creature. Quelli che chiamiamo i popoli primitivi, i cacciatori-raccoglitori, non si sono mai sorpresi, anzi: mostravano rispetto reverenziale nei confronti degli altri animali. Le orche assassine, per esempio, erano considerate esseri superiori da coloro che vivevano nella zona nordoccidentale del pacifico».

Lei ci insegna che gli animali comunicano. Gli elefanti, in particolare, sono empatici e hanno una grandissima memoria. Cosa l'ha colpita di più nella sua esperienza con loro?

«Gli elefanti hanno il cervello molto più grande, rispetto al nostro; come sappiamo non cacciano, sono vegetariani e vivono in grandi gruppi familiari in cui ognuno riveste un'enorme importanza; non ci sono violenze, e a furia di osservarli ho capito che fanno una vita molto migliore della nostra. Non feriscono né imbrogliano nessuno, sembrano avere rapporti di amicizia, di sostegno reciproco, di amore. Poter vivere come un elefante sarebbe meraviglioso».

Il loro numero è anche considerevolmente diminuito .

«Sì, e sempre a causa dell'uomo».

Le altre specie, almeno, uccidono per necessità. L'uomo è l'animale più crudele?

«Certo. In fondo, cos'è che ci rende umani? Siamo i più estremi, tra tutte le specie. Siamo più creativi, ma anche i più distruttivi; siamo compassionevoli, ma anche letali».

È vero che siamo entrati in una nuova era, l'Antropocene, la prima in cui è l'uomo a modificare il pianeta?

«Non c'è dubbio. Siamo la forza trainante della destabilizzazione dell'atmosfera, stiamo acidificando gli oceani, immettendo sostanze chimiche che non esistevano in passato, la qualità e la dimensione di ogni habitat al mondo si sono ridotte in maniera significativa».

Jonathan Franzen, amante del birdwatching, si è scagliato contro i gatti.

«Sono d'accordo con lui, i gatti sono animali meravigliosi ma non si dovrebbe permettere loro di uscire liberamente perché uccidono troppi uccelli selvatici. Un predatore naturale non elimina tutti gli animali del suo territorio, non potrebbe permetterselo».

David Foster Wallace, in un suo famoso e controverso saggio, ha svelato al mondo la sofferenza delle aragoste.

«Io ne mangio di rado, ma se le acquisto, le uccido rapidamente prima di immergerle nell'acqua bollente».

Tentato dalla dieta vegetariana?

«Cerco di evitare la carne prodotta in allevamento, ma non ne faccio una religione. In casa consumiamo spesso ciò che peschiamo».

Di quali temi si occuperà nel prossimo libro?

«Al di là delle parole parlava della capacità che hanno gli animali di avere sentimenti. Ora sto lavorando a un libro che è un po' il suo naturale proseguimento: raccontare ciò che imparano gli animali dai loro gruppi familiari, la natura da un punto di
vista sociale».
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