Anna Guaita
Quest'America
di Anna Guaita

Charlottesville, Baltimora ecc: perché rimuovere le statue dei confederati?

di Anna Guaita
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Giovedì 17 Agosto 2017, 21:35 - Ultimo aggiornamento: 18 Agosto, 00:33

NEW YORK – Una mia conoscente si chiede insistentemente perché sia nato un movimento per la rimozione delle statue degli eroi confederati.

La rimozione della statua del generale Robert Lee a Charlottesville, in Virginia, ha attirato le ire della destra estrema, e ha portato ai fatti sanguinosi dello scorso sabato 12 agosto.

Lee è stato il generale dell’esercito dei “Confederate States of America”, cioè degli Stati del sud che si ribellarono all'Unione e cominciarono la guerra di Secessione nel 1861. La guerra si concluse nel 1865, dopo aver falciato le vite di 620 mila americani del sud e del nord. Un record: in nessun altro conflitto, neanche nella Seconda Guerra Mondiale, gli americani perderanno tanti uomini.

«Ma perché non le lasciano lì quelle statue? Oramai… Dopo tanto tempo!» si chiede con insistenza la mia conoscente, mentre altre città rimuovono nottetempo le statue, o si apprestano a farlo. Le sue parole non dovrebbero stupirmi: gli americani conoscono poco e male la loro storia, anche quella di cui devono essere giustamente orgogliosi, figuriamoci quella di cui dovrebbero vergognarsi!

Vediamo allora di spiegare perché togliere la statua del generale Lee, e trasferirla in un museo è una scelta ragionevole e rispettosa di una larga parte della popolazione.

Prima di tutto va ricordato che le statue che vengono rimosse in questi giorni, non furono innalzate subito dopo la Guerra Civile, a testimonianza di un terribile tradimento che portò a un terribile conflitto da non dimenticare, ma decenni dopo, quando il sud riuscì a ricreare il segregazionismo, con le leggi note come “Jim Crow”, e quando rinacque il Ku Klux Klan, e i bianchi esercitarono una brutale campagna di soggiogazione dei neri, con linciaggi, intimidazione, segregazione.

Quello - un'epoca di razzismo estremo - fu il periodo in cui le statue degli eroi del sud confederato vennero innalzate. E innalzarle significava mandare un chiaro segnale intimidatorio ai neri, perché erano le effigi di individui che avevano scatenato una guerra di secessione e avevano tentato di distruggere gli Stati Uniti praticamente al solo scopo di continuare la schiavitù.

Robert Lee, il generale che guidò le truppe del sud, era un uomo intelligente e un ottimo militare. Ma era convinto della superiorità della razza bianca sulla nera, e considerava la schiavitù una necessità per “civilizzare” gli schiavi: «La penosa disciplina a cui sono sottoposti – scriveva alla moglie – è necessaria per istruire la loro razza. E dire quanto dovrà durare la loro soggiogazione è solo conosciuto e deciso dalla Provvidenza».

Queste statue non solo rappresentano una ideologia repressiva e razzista, ma – non dimentichiamolo – onorano individui che tradirono il loro Paese. Difatti, alla fine della guerra,  Lee non fu incriminato per tradimento solo perché il suo rivale, il vincitore, il generale Ulysses Grant, insistette che fosse lasciato libero di tornare alla sua tenuta in Virginia.

Trump sostiene che non c’è differenza fra Lee, e George Washington e Thomas Jefferson, perché anche questi ultimi due ebbero schiavi. Di nuovo: l’ignoranza della storia non dovrebbe stupirmi, anche se in un presidente tale ignoranza è sospetta.

Il sud ha eretto statue a Lee perché era stato il generale dell’esercito del sud schiavista e ribelle contro la patria. Gli Stati Uniti hanno eretto statue a George Washington e Thomas Jefferson perché sono i padri che quella patria l'avevano creata.

Washington è l’uomo che ha vinto la guerra di Indipendenza dalla Gran Bretagna e ha instaurato il pacifico passaggio di poteri da un presidente all’altro, invece che proclamarsi dittatore o re. Thomas Jefferson scrisse la Dichiarazione di Indipendenza, e fu anche lui presidente.

Washington e Jefferson avevano schiavi. E’ vero. Ma avere schiavi non era la loro aspirazione principale, non era il motivo ispiratore che li animava nella lotta per creare un nuovo Paese. E comunque allora, nel Settecento, nelle colonie britanniche il dibattito sulla la schiavitù era all’inizio, non era ancora acclarato e maturo come lo era un secolo più tardi, all’epoca della guerra di secessione.

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