L’intervento/Perché la Borsa deve tornare a parlare italiano - di P.C. Padoan e F. Pagani

Pier Carlo Padoan e Fabrizio Pagani
di Pier Carlo Padoan* e Fabrizio Pagani**
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Martedì 8 Settembre 2020, 00:54 - Ultimo aggiornamento: 11:51
Il piano “Finanza per la Crescita”, lanciato tempo fa dal Governo, mira ad avvicinare le nostre medie e piccole imprese al mercato dei capitali. Si tratta di facilitare la ricapitalizzazione delle imprese, di stabilire regole certe per i fondi di private equity, di aprire canali di finanziamento, per esempio attraverso mini-bond o fondi debito, paralleli a quello bancario.

Questo programma ha portato all’introduzione di una panoplia di misure e strumenti: dalla liberalizzazione del credito ai mini-bond, dalle defiscalizzazioni per investimenti diretti in impresa ai piani individuali di risparmio (Pir). Questo governo nel rilanciare l’economia nel periodo post-lockdown ha ulteriormente rafforzato alcuni di questi strumenti, si pensi ai Pir alternativi.

“Finanza per la Crescita” è al crocevia di esigenze diverse, ma convergenti: l’esigenza delle imprese di aumentare i fondi propri e ampliare le fonti di finanziamento; la necessità delle banche di essere meno dipendenti dal modello creditizio tradizionale; la ricerca per il risparmio di nuove forme di investimento nell’economia reale.
In questo quadro, una componente fondamentale lo svolge il mercato borsistico, ed in particolare Borsa Italiana. Borsa Italiana, nelle sue diverse componenti, mercato equity, mercato obbligazionario, Aim, ha fortemente contribuito a “Finanza per la Crescita”.

Il mercato borsistico costituisce infatti, in molti casi, il punto di approdo di questo processo di apertura e rafforzamento delle nostre medie e piccole imprese. Bene lo ha spiegato un rapporto dell’Ocse sul mercato dei capitali in Italia, presentato qualche mese fa al Tesoro.

Borsa Italiana, proprio per la natura particolare del tessuto dell’economia italiana, svolge un ruolo peculiare, in parte diverso rispetto a quello di altri mercati continentali. In questi anni, Borsa Italiana è stata il punto di riferimento per quelle medie imprese, ambiziose e progettuali, che volevano aprirsi e crescere. Basti pensare al Programma Elite, attraverso cui, negli anni, centinaia di imprese italiane sono passate in un processo di crescita, internazionalizzazione e apertura a investitori. Borsa ha mostrato capacità di innovazione e di interpretazione del mercato italiano, facilitando l’accesso delle Pmi a mercati non regolamentati come l’Aim, facendo crescere mercati specifici, come il Miv, pensati per veicoli che investono nell’economia reale, oppure promuovendo strumenti paralleli alla quotazione tradizionale, come le Spac. 

Su questo lavoro e sulla possibilità di continuarlo e rafforzarlo pende oggi un punto interrogativo. Borsa Italiana infatti è stata messa in vendita. L’azionista, il London Stock Exchange (Lse), la Borsa di Londra, è da qualche mese impegnato in una nuova complessa acquisizione, che ne vedrà l’integrazione con la società americana Refinitiv. Si tratta di una transazione da oltre 25 miliardi di dollari che permetterà alla Borsa di Londra di divenire uno dei leader mondiali nei dati e nelle analisi finanziarie. Questa operazione si inserisce in una tendenza crescente che vede attori finanziari integrarsi con servizi dati e di informazione. 
In questo contesto, il Gruppo Lse ha deciso, anche su indicazione dell’antitrust europeo, di vendere la Borsa di Milano, non certo più centrale nel nuovo contesto. 

Questo è un cambiamento saliente per sé, ma ancora più rilevante se si considera che coinvolge un’altra infrastruttura essenziale per il nostro sistema: Mts. Il Mercato Titoli di Stato è la piattaforma su cui scambiano, sul mercato secondario, i titoli di Stato della Repubblica italiana. Si tratta di infrastruttura che garantisce l’ordinata e efficiente contrattazione del nostro debito, facilitando, per esempio, il controllo dell’eccessiva volatilità e permettendo risparmi sugli interessi. Dietro la piattaforma Mts vi è una società per azioni posseduta per il 60% da Borsa Italiana e quindi in ultima istanza da Borsa di Londra. 

Bastano questi pochi elementi per capirne l’importanza in un Paese dove il debito pubblico si avvia a superare il 160% del Pil. L’operazione di vendita è certamente un’operazione privata che sarà condotta secondo principi di mercato, ma è evidente che questi sviluppi interessino da vicino le autorità pubbliche del nostro Paese. Partecipano alla gara le principali piattaforme di mercato europeo, in un contesto in cui, almeno per quanto riguarda Borsa, l’integrazione in un gruppo internazionale sembra requisito necessario. Mts potrebbe anche trovare una collocazione diversa, di maggiore autonomia.

È auspicabile che possa prevalere quella piattaforma che dimostri maggiore solidità economica, capacità di investimento tecnologico e innovazione oltre ad attenzione a crescita sul lungo termine. Deve essere assicurata un’autonomia di governance e operativa adeguata alle nostre due società, che permetta, per esempio, di rilanciare il Programma Elite. Nel garantire questa autonomia, adeguati presidi di governance possono essere efficaci tanto quanto la presa di partecipazioni azionarie da parte di istituzioni nazionali e sicuramente sono meno onerosi. Alcuni esempi recenti lo dimostrano.

Borsa Italiana e Mts devono trovare una loro stabilità di azionariato, in un quadro che ne capisca la centralità e ne assicuri lo sviluppo, affinché continuino a servire al meglio l’economia e finanza pubblica italiana. Egualmente a livello europeo sembra opportuno che si possa mantenere una pluralità di piattaforme di mercato di capitali. Il mercato unico dei capitali, che l’Unione Europea sta cercando di completare, non presuppone in alcun modo un solo operatore borsistico. Basti pensare alla concorrenza, tra Nyse, Nasdaq e altri operatori, che esiste in un mercato perfettamente integrato come quello americano.

* Ex ministro dell’Economia
** Ex direttore generale del Tesoro
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