Manovra in salita, servono 20 miliardi (e il bilancio a posto). Cuneo fiscale, il governo prepara tagli di spesa

Con le nuove regole europee niente più misure in deficit. Per ridurre il cuneo il governo si prepara ai tagli di spesa

Manovra in salita, servono 20 miliardi (e il bilancio a posto)
di Luca Cifoni
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Giovedì 16 Maggio 2024, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 09:31

Debito in crescita e disavanzo superiore alla vecchia soglia del 3% del Pil (formalmente non abolita). Le previsioni di primavera della Commissione europea confermano, per quanto riguarda il quadro di finanza pubblica, che il governo italiano si troverà probabilmente ad affrontare una procedura per deficit eccessivo, nella nuova versione faticosamente approvata dalle istituzioni europee. Mentre sul fronte della crescita ritraggono un Paese che dovrà trovare la forza di lasciarsi alle spalle la sbronza del superbonus: la quale - è bene ricordarlo - non solo ha affossato i conti (e continuerà a farlo nel tempo) ma ha supplito, dopo la vigorosa fuoriuscita dalla pandemia, alla necessità di alimentare con investimenti e riforme ben congegnate l’andamento dell’economia.

IL CONFRONTO

I dettagli del futuro confronto con Bruxelles sono ancora da definire, ma guardando alla scadenza autunnale della manovra è ragionevole ipotizzare che almeno sulla carta l’esecutivo si potrebbe trovare a dover aggiungere al conto necessario per finanziare le misure più o meno annunciate (quasi 20 miliardi come indicato nello stesso Documento di economia e finanza) altre risorse, necessarie per garantire l’aggiustamento coerente con una discesa «plausibile» del debito.

Discesa a cui concorreranno anche le privatizzazioni, a loro volta non scontate anche se ieri il Mef ha annunciato il collocamento del 2,8% di Eni.

Il nuovo sistema di regole europee era stato concepito con l’ottima attenzione di sostituire un meccanismo barocco ed incomprensibile ai più ma poi - in nome del compromesso con i Paesi rigoristi - ha finito per ereditarne alcuni dei difetti. Basta ricordare che i complicati parametri sospesi nel 2020 e le relative eccezioni avrebbero dovuto lasciare il passo ad un più ragionevole indicatore unico, quello della “spesa netta” che non tiene conto di interessi, misure discrezionali e altre uscite legate al ciclo economico, come quelle dei sussidi di disoccupazione. La dialettica tra i governi nazionali e le autorità di Bruxelles si baserebbe essenzialmente su questa unità di misura, in un arco di tempo pluriennale: quattro anni che sulla base degli impegni presi dagli interessati possono essere allungati a sette. Proprio l’estensione temporale del periodo di confronto e del relativo piano di aggiustamento rappresenta potenzialmente un altro rilevante elemento di novità: sarebbe ciascun Paese a definire con maggiore autonomia i vari passaggi intermedi per raggiungere l’obiettivo richiesto (la famosa “traiettoria”) invece di dipendere dallo spauracchio delle raccomandazioni periodiche e delle relative correzioni di bilancio obbligate.

Fin qui tutto bene. Come è noto, dalla finestra sono rientrati però altri indicatori quantitativi che nel caso italiano, visto il fardello di un debito pubblico ben superiore al 90 per cento prodotto interno lordo, si concretizzerebbero soprattutto nella richiesta di una riduzione del debito pubblico pari ad un punto percentuale. Che è meno del ventesimo della distanza dal livello del 60 per cento, contemplato almeno in astratto dalla vecchie regole; ma rappresenta comunque un impegno significativo.

LE INDICAZIONI

Cosa significa tutto questo se dalle sofisticate costruzioni macroeconomiche si passa al più prosaico linguaggio della legge di Bilancio da approntare ogni anno? Il percorso del governo Meloni come detto è in qualche modo già segnato dalle pur scarne indicazioni del Def. Ci sono circa dieci miliardi necessari per confermare la riduzione dei 6-7 punti dell’onere contributivo a carico del lavoratore, che si traduce in un appesantimento del netto in busta paga fino a oltre 100 euro mensili. Altri cinque miliardi scarsi per le esigenze della riforma fiscale, che al pari del taglio del cuneo fiscale vale al momento per il solo 2024. Naturalmente non sarà indifferente la decisione di procedere una nuova proroga annuale oppure rendere le due misure strutturali: quest’ultimo è il percorso più logico e credibile, che però richiede coperture strutturali. Il conto totale si avvicina ai venti miliardi se si aggiungono le altre esigenze che vanno finanziate ogni anno.

Come si muoverà l’esecutivo? Il vincolo è quello di non fare nuovo deficit, visto che al contrario c’è il rischio di dover procedere con interventi restrittivi, di segno opposto. Sul piano politico è poi alquanto arduo immaginare nuovi prelievi fiscali, al di là di quanto previsto all’interno della delega. Che dispone di un fondo già alimentato per il 2025 dall’abrogazione del vecchio incentivo alla patrimonializzazione delle imprese (l’Ace, Aiuto alla crescita economica) e potrebbe essere rimpinguato da maggiori introiti derivanti sia dalla nuova tassazione delle multinazionali, sia dal concordato biennale che sarà proposto a lavoratori autonomi e piccole imprese.

I sentieri percorribili rimandano allora a titoli già letti molte volte in passato, il taglio delle agevolazioni fiscali e la revisione della spesa pubblica. Ci sono elementi per ritenere che stavolta si faccia sul serio? Quanto alle tax expenditures, il viceministro delle Finanze Maurizio Leo sembra intenzionato a ricavare risorse reali, procedendo sulla strada del taglio automatico in base alla soglia di reddito. Mentre il titolare di Via Venti Settembre ha avuto modo già in passato di affermare i suoi propositi di garbato assalto alle dotazioni dei ministeri.

C’è poi la grande incognita della crescita. Che nello spirito almeno originario del nuovo Patto di stabilità doveva essere la vera chiave di volta per l’alleggerimento del debito. Qui sono importanti due indicazioni contenute nelle previsioni della Commissione. Il prossimo anno gli investimenti del superbonus dovranno essere rimpiazzati da quelli del Pnrr. Mentre i consumi sarebbero sostenuti dall’incremento delle retribuzioni reali favorito, dopo la batosta del biennio 2022-2023, dai rinnovi contrattuali sia nel pubblico che nel privato.

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