Valeria Fedeli: «Stipendi e precari,
cambiamo la scuola»

Valeria Fedeli: «Stipendi e precari, cambiamo la scuola»
di Lorena Loiacono
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Sabato 11 Marzo 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 09:15
La Buona scuola è stata «uno straordinario investimento economico» per introdurre «qualità e innovazione» nel sistema dell’istruzione italiana, ma ha avuto - spiega Valeria Fedeli - un difetto: non è riuscita a coinvolgere coloro che quella riforma dovevano applicarla, cioè innanzitutto gli insegnanti.

La missione affidata alla Fedeli come ministro dell’Istruzione è proprio questa: recuperare il rapporto con i docenti, tra mondo della scuola e ministero, ricucire quel legame fondamentale per portare avanti la riforma, attuarne i decreti, per cambiare davvero la scuola italiana.

Del resto è stato lo stesso Matteo Renzi nei giorni scorsi ad ammettere il paradossale passo falso del suo governo: «Abbiamo speso 3 miliardi, assunto centomila precari e siamo riusciti a far arrabbiare tutti» ha detto l’ex premier mercoledì scorso a “Porta a Porta”. E allora, proprio per far pace con tutti gli “arrabbiati” della Buona scuola, la scelta del nuovo ministro (un’ex sindacalista della Cgil) è un segnale chiaro rivolto all’intera categoria docente.

Ministro Fedeli, che cosa non ha funzionato secondo lei nella Buona scuola?
«Innanzitutto voglio dire che la Buona scuola ha introdotto qualità e innovazione, oltre ad aver messo in campo uno straordinario investimento economico di 3 miliardi di euro e oltre 90 mila assunzioni. Si è trattato di un processo di cambiamento fortissimo. Proprio per questo credo che sarebbe stato necessario coinvolgere prima tutti i soggetti interessati. Forse è stato proprio questo il problema, il motivo della cesura con il mondo della scuola: la mancanza di un dialogo, sia sui tempi sia sulle modalità di attuazione».

La strada da seguire, d’ora in poi, quale sarà?
«Personalmente credo molto nella condivisione dei percorsi da attuare: ci diamo un obiettivo da raggiungere e decidiamo insieme come arrivarci nella maniera migliore possibile».

Si vuole cambiare la scuola, con quale obiettivo?
«Dobbiamo concentrarci sulla formazione e sull’educazione delle studentesse e degli studenti: è questo il nostro vero obiettivo, lo scopo principale. E credo che si debba partire da qui. Quindi, proprio per questo, l’impianto qualitativo della Buona scuola va salvaguardato così come vanno salvaguardati i grandi investimenti che sono stati fatti. Occorre superare il precariato e dare qualità al ruolo del docente».

Dare qualità, concretamente, come?
«Innanzitutto con un nuovo reclutamento. A questo tema è riservata una delle deleghe per me più importanti in discussione in Parlamento in queste settimane. Ai docenti poi chiediamo sempre più qualità e sempre più formazione, compresa la formazione in servizio. Di contro abbiamo l’obbligo di valorizzare il loro ruolo anche economicamente. Chi entra nella scuola come docente altamente formato deve avere anche un riconoscimento economico».

I docenti sono senza rinnovo del contratto da anni, è in arrivo?
«Il rinnovo deve obbligatoriamente arrivare, è un impegno che ci siamo dati. Non è accettabile che il contratto sia fermo da 7 anni. Aspettiamo l’iter previsto per il decreto Madia, ora all’attenzione delle Commissioni parlamentari, e poi procediamo con il rinnovo. Probabilmente entro l’anno».

È previsto un aumento per gli insegnanti?
«Sì, certo. In base all’accordo dello scorso 30 novembre, firmato con le sigle sindacali, che riguarda tutta la pubblica amministrazione. È previsto un aumento medio di 85 euro, declinati poi sulle diverse professionalità».

Il bonus di 500 euro per la formazione resterà?
«Dobbiamo capire come e se ha funzionato. Faremo un esame dal punto di vista qualitativo e quantitativo dell’uso del bonus. Per quest’anno, comunque, resta di sicuro».

E la valutazione del merito?
«La carriera di un docente va valutata nel suo insieme, anche considerando, ad esempio, il tempo che impiega per la formazione. Sulla questione del merito stiamo ascoltando tutte le parti coinvolte, perché vogliamo adottare uno strumento che prenda in considerazione tutti gli aspetti del lavoro dell’insegnante. Uno strumento che sia condiviso per evitare elementi che possano creare difficoltà».

“Supplentite” e precariato, due facce della stessa medaglia. Come se ne esce?
«Stiamo lavorando per superare il precariato, abbiamo una norma transitoria che serve proprio per affrontare seriamente quello che, di fatto, è uno dei maggiori problemi della scuola italiana. Già con la legge della Buona scuola sono previste le immissioni in ruolo per i precari e il piano andrà avanti. Non possiamo risolvere tutto in un anno: nel 2017-2018 ci saranno ancora cattedre assegnate ai supplenti perché di certo non possiamo lasciarle scoperte. Ma andranno via via diminuendo».

Per le famiglie la mobilità degli insegnanti sta diventando un incubo. Si fermerà mai?
«I problemi ci sono stati ma stiamo lavorando affinché a settembre, con l’avvio del prossimo anno scolastico, ci sia la maggiore stabilità possibile anche grazie a una parte dell’organico di fatto che diventerà organico di diritto. Solo per quest’anno è prevista una deroga al blocco triennale della mobilità, ma sarà una mobilità parziale, solo volontaria e non su tutti i posti e, inoltre, daremo maggior rigore all’utilizzo e alla gestione delle assegnazioni provvisorie».

Uno dei punti più contestati della riforma è stato quello della chiamata diretta, meccanismo che a giudizio degli insegnanti assegna poteri eccessivi ai presidi. Pensate di modificarlo?
«Stiamo discutendo con gli interessati per raggiungere uno strumento più trasparente ed efficace, per consentire la chiamata diretta da parte dei presidi. Stiamo discutendo con i sindacati, ad esempio, sui requisiti richiesti per il docente. Se il metodo è condiviso, supereremo tutti gli ostacoli».

Parliamo di studenti: la possibilità di essere ammessi alla maturità con la media del 6 (invece che con il 6 in tutte le materie) è una novità molto contestata ed è stata vista come un ritorno del “6 politico”. Resterà questa norma?
«Cominciamo con il dire che non mi piace chiamarlo 6 politico perché non lo è. Si tratta piuttosto di valutare il percorso degli studenti nel suo insieme. So perfettamente che non c’è un parere unanime e che la norma, in discussione in Parlamento in merito al decreto per gli esami di Stato, potrebbe saltare. Io mi auguro di no anche perché la polemica sulla media del 6 è durata molto poco. Subito dopo si è passati ai contenuti. Abbiamo discusso molto di più sulla capacità dei ragazzi di saper scrivere. Preferisco sempre guardare i processi della formazione, entrare nei contenuti».

 
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