Minzolini salvo, svolta renziana: non siamo succubi dei pm

Repetti
di Marco Conti
3 Minuti di Lettura
Venerdì 17 Marzo 2017, 08:22
Adesso ad aspettare, e anche a sperare, nella Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo non è solo Silvio Berlusconi e Forza Italia, ma anche il Pd. Cambiare la legge Severino, che a novembre del 2013 decretò - sempre con il voto dell'aula - la decadenza del Cavaliere, non è all'ordine del giorno né del governo né del Parlamento. Un intervento della giustizia europea cambierebbe però tutto e a tifare «per una pronuncia che consenta una manutenzione», come sostiene Stefano Esposito, è anche il Pd.

SPALLE
La libertà di voto che ieri a palazzo Madama il capogruppo del Pd Luigi Zanda ha dato ai suoi parlamentari sulla richiesta di decadenza del senatore Minzolini presentata dalla Giunta per le autorizzazioni, «certifica un cambio nei rapporti tra magistratura e politica», sostiene il centrista Paolo Bonaiuti. Alle accuse dei grillini di scambio tra il voto su Lotti e quello di ieri, il principale partito della maggioranza risponde con un'alzata si spalle e invita a consultare i nomi di coloro che hanno votato contro.

Da Manconi a Tronti, dalla Capacchione a Muchetti, un elenco di insospettabili che permette al Pd di alzare la bandiera della libertà di coscienza, anche perchè il giudice che ha condannato e aumentato di sei mesi la richiesta del pm, è Giannicola Sinisi, un giudice tornato alla toga dopo due mandati da parlamentare e altrettanti da sottosegretario nei governi Prodi e D'Alema. Quindi, sostengono i renziani, «noi non facciamo i passacarte, ma valutiamo e decidiamo in libertà. Specie su una questione controversa come questa».

Per il Pd il Parlamento non si limita a recepire le sentenze ma «valuta e decide. Come peraltro prevede la legge». «Sono contento per Minzolini, ma segnalo che l'unica vittima della Severino è stato Berlusconi», sottolinea il parlamentare azzurro Sestino Giacomoni. L'entusiasmo tra le fila azzurre dei parlamentari ieri andava ben oltre la vicenda dell'ex direttore del Tg1. La speranza di una riabilitazione politica del Cavaliere in tempo per le elezioni del prossimo anno, si nutre anche del voto di ieri.

Ad Arcore le clessidre sono due. Una ha sotto la scritta Strasburgo e rischia di essere girata più volte visti i tempi lunghissime delle pronunce della Corte (per Contrada impiegarono sette anni). L'altra è puntata sui tempi di una possibile riabilitazione che la stessa legge Severino prevede e che permetterebbe agli avvocati del Cavaliere di presentare istanza da metà aprile del prossimo anno. Al Nazareno rifiutano però confronti tra il voto di ieri e quello del 2013 perché «Berlusconi era pluricondannato ed è ancora sotto processo».

Così come rifiutano l'idea che all'ombra del voto di ieri stia spuntando un nuovo Nazareno. Magari solo per metter mano alla legge elettorale. «Fantasie», le definisce il responsabile giustizia del Pd Davide Ermini. «Il clima del giorno precedente (quando al Senato si è votata la sfiducia a Lotti ndr), ha sicuramente aiutato Minzolini», sostiene Giacomoni. Nel Pd si rigetta però l'accusa grillina dello scambio e a prova dell'assoluta buona fede si citano i ripetuti tentativi che FI ha fatto ad inizio seduta per rinviare il voto.

A tirare però per un chiarimento legislativo, da farsi magari in occasione del voto sulla legge elettorale è però proprio Dario Stefano, il presidente della Giunta per le autorizzazioni del Senato dove il provvedimento di decadenza è tornato dopo la bocciatura dell'aula. «È opportuno che, in occasione della discussione sulla nuova legge elettorale- sostiene il senatore di Sinistra Italiana - vengano affrontati, con maggiore serenità, tutti i rilievi posti e le criticità evidenziate su ineleggibilità, incompatibilità, incandidabilità e decadenze». In attesa di possibili correzioni o integrazioni alla legge che ne risolvano eventuali incongruenze, il Pd mette le mani avanti sostenendo con il senatore Russo, che «il voto di ieri non altera la legge» e «non gli toglie il senso che giustamente prevede l'incompatibilità fra comportamenti illegittimi o disonorevoli e le cariche pubbliche». Non solo la Severino non si tocca, ma il voto di ieri «non muta nemmeno la maggioranza».
© RIPRODUZIONE RISERVATA