Ma ancor più impressionante è la nuda sequenza dei fatti: il 2 marzo scorso Repubblica pubblica un’intervista al commercialista napoletano Alfredo Mazzei, il quale asserisce di aver saputo da Romeo di un suo incontro riservato con Tiziano Renzi in una «sorta di bettola». Renzi chiama allora il padre, e gli chiede a muso duro se risponda a verità quanto riportato dal quotidiano. Il padre non ricorda di aver mai incontrato Romeo; di sicuro – dice – non l’ha incontrato a pranzo. Il giorno dopo, il 3 marzo, viene interrogato presso la procura di Roma, investita per competenza delle indagini avviate a Napoli, dai pm Paolo Ielo e John Henry Woodcock. Al termine, la difesa di Renzi rinuncia a richiedere gli atti per preservarne la riservatezza, ma il giorno dopo oplà: sui giornali si rovescia tutta la montagna di accuse prodotte dal Noe, il nucleo investigativo al quale si era affidata la procura napoletana e in particolare il suo pm di punta, John Henry Woodcock. La reazione della procura di Roma, è decisa: fin lì i capi degli uffici di Napoli e Roma avevano proceduto d’intesa, ma di lì in avanti l’intesa naufraga. Pignatone revoca l’indagine al Noe; dopodiché parte l’inchiesta sulla fuga di notizie e parte pure una scrupolosa verifica del lavoro svolto. Salta fuori, e siamo alle ultime settimane, che il capitano dei carabinieri Gianpaolo Scafarto, su cui Woodcock riponeva la massima fiducia, ha clamorosamente manipolato i verbali delle intercettazioni e ha pure costruito una storia di pedinamenti da parte dei servizi segreti, che finisce agli atti nonostante ne sia evidente l’infondatezza. Woodcock, dal canto suo, per difendere l’operato di Scafarto viola l’assoluto riserbo sugli sviluppi del caso chiestogli espressamente dal procuratore Fragliasso. Per aver violato il silenzio e per aver così interferito con il lavoro della Procura romana viene così incolpato dal Procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo.
Ed ecco ora il nuovo coup de théâtre: la drammatica telefonata tra padre e figlio, che costringe la procura di Roma ad aprire una nuova indagine per violazione del segreto istruttorio e il ministro della Giustizia Orlando a disporre accertamenti. Si vedrà nelle prossime ore se anche il Csm, finora taciturno, riuscirà finalmente a prendere posizione sulla vicenda.
Non è detto però che sia l’ultimo episodio: a leggere «il Fatto» sembra anzi che nuove rivelazioni siano tenute in serbo per i prossimi giorni, e così la politica si ritrova sotto una specie di stordimento permanente, travolta da fiumi di parole che non hanno alcun valore probatorio, la cui pubblicazione avviene goccia a goccia, in esplicita violazione di legge, con una Procura che tiene evidentemente aperte le falle da cui fioccano le intercettazioni, e l’altra che prova (finora invano) a turarle.
In gioco, come si vede, non sono i «guai giudiziari» del padre di Renzi, la cui posizione non è minimamente toccata – non aggravata, se mai alleggerita – dalla divulgazione dell’intercettazione. In gioco è tutto il resto: il clamore mediatico sollevato da certe inchieste in via del tutto indipendente dalle risultanze investigative prima e processuali poi; la complicità che si stabilisce fra organi di stampa e organi inquirenti; la disinvoltura con cui certi meccanismi vengono attivati, con qualcuno che dietro le quinte alza la palla e qualcun altro che scende in campo e la schiaccia. E infine l’impotenza della politica, costretta ad assistere allo spettacolo, tacendo per timore di finire magari nel tritacarne della prossima intercettazione, segretamente confidando che la procura di Roma possa almeno questa volta respingere la palla nel campo avverso, dopo un quarto di secolo, anno più anno meno, in cui è stata presa a pallonate. La politica appare cioè ancora priva di qualunque, reale capacità di reazione visto che, giunta dinanzi a uno dei punti più oscuri della storia repubblicana recente, dinanzi a condotte investigative capaci di produrre – non sappiamo a quali livelli – un così grave inquinamento probatorio e di far emergere elementi di così eclatante privatezza, non batte i pugni sul tavolo ma si limita a rilasciare dichiarazioni: il miglior commento all’inazione di questi anni.
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