Rendiamo la Capitale più sicura per le donne

di Maria Latella
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Mercoledì 13 Settembre 2017, 00:08
Capita a ogni età, alla pensionata ottantenne che a Milano andava a fare la spesa e alla baby sitter finlandese che usciva all’alba da un locale.

Un locale vicino alla stazione Termini. Capita alla settantenne di Bari che si è fatta aiutare con le borse della spesa e, arrivata a casa, è stata picchiata e violentata. E capita alla turista assalita a Roma addirittura dal portiere d’albergo. Capita sulla spiaggia di Rimini o in un ascensore di Firenze.

Nei casi che ho citato gli stupratori erano immigrati. È bene ricordarlo e non dissimulare. Fare finta di niente per paura di dare gas alla miccia del razzismo non aiuta né a comprendere né a risolvere. E poi, certo, c’è l’altra, inquietante, faccia della medaglia. Il caso Firenze. A Firenze le studentesse americane sono state violentate da due carabinieri. Non da due immigrati. Due rappresentanti dello Stato ai quali, di norma, ci si affida in cerca di protezione. Due eccezioni, certo, ma che avrebbero dovuto ricevere nei loro corsi di formazione istruzioni su come si tengono a freno gli impulsi. 

Allineiamo i fatti per come la cronaca ce li propone con incessante reiterazione. Per cominciare: le vittime. Vivono condizioni di particolare vulnerabilità. Sono anziane e dunque fragili. Oppure sono turiste, vengono da paesi come la Finlandia o l’Australia dove c’è ancora un livello di fiducia sociale relativamente alto e se un uomo ti offre un passaggio in auto sei quasi sicura che solo di quello si tratti. 

E poi i carnefici. Gli uomini che stuprano. Vengono spesso da culture e da Paesi in cui la violenza su una donna è, se non accettata, quantomeno compresa. Si chiude un occhio. C’è da credere che, arrivati in Italia, tra le “dritte” che ricevono dai connazionali non ci sia quella che dovrebbe invece metterli in guardia: «Stai attento, qui se tocchi una donna finisci in galera e non esci per un bel po’». Nessuno glielo dice perché, almeno finora, non era così. e non può bastare l’alibi che qui, da noi, per chi viene da Paesi arretrati culturalmente è tutto un lunapark di libertà sessuali. Che incita ed eccita. Troppo comodo.

Né è stato così per gli italiani che, tra il tinello e la camera da letto, per anni hanno continuato e continuano a picchiare, violentare, umiliare quelle che considerano le “loro” donne. Fino a poco tempo fa se una moglie si presentava con gli occhi pesti al pronto soccorso o, vivendo in un paese, alla caserma dei carabinieri, la tendenza era troncare, sopire: «Torni a casa, vedrà che le cose si aggiustano». Quanti referti per finte cadute dalle scale sono passati indenni dai pronti soccorsi d’Italia?

Le cose ora stanno cambiando. E la parola stalker è ormai di uso comune. Nelle donne, anche nelle più giovani, c’è consapevolezza: amore non significa violenza e neppure persecuzione.

Qualcosa è stato fatto. È arrivato il momento di fare di più. E di farlo con pragmatismo. Perché l’Italia, Paese con molte, troppe, arretratezze, non merita di essere anche raccontato come il paese dove se esci da una discoteca corri il rischio di essere stuprata. Succede ovunque, lo sappiamo. Ma ora, per esempio a Roma, è il caso di far sapere che non succederà più.

Senza proclami, per favore. Che Roma è vicina alla ragazza stuprata è il minimo. Si vorrebbe fare in modo che tutte le finlandesi o le americane o le australiane che arrivano a Roma, o in Italia, non debbano prima farsi la polizza anti violenza. Ma vi rendete conto? la polizza antiviolenza. Per venire in Italia.

Depuriamo il dibattito dalle scemenze per cui gli stupri sono più gravi se ad agire sono gli immigrati o sono più devastanti se a commetterli sono i carabinieri. Gli stupri sono stupri ed evidentemente a un immigrato del Bangladesh si richiede di conoscere ed osservare usi, costumi e leggi vigenti in Italia mentre si presume che un carabiniere sia tale proprio per farle rispettare, quelle leggi. Le polemiche su questo terreno, di fronte al dramma e al dolore che prova una donna violentata, sembrano disumana prova di insensibilità. Verrebbe da dire: provate voi quel che ha provato la pensionata di Bari o di Milano, la studentessa finlandese a Roma o l’americana a Firenze. Provate voi e poi vediamo se avrete ancora voglia di discettare su cosa è grave e cosa non lo è, o lo e’ di meno o di più.

La campagna che oggi il Messaggero lancia ha il merito di fare proposte vere. Attuabili. Una donna si sente più sicura se il taxi arriva subito anche all’uscita da un locale, all’alba. Si sente più sicura se può camminare in strade illuminate. Soprattutto si sentirà più sicura se saprà di vivere in un Paese dove lo Stato la rispetta, a cominciare dai suoi rappresentanti, e indipendentemente da quello che lei è o fa. Perché lo sanno tutti che, storicamente, prostitute e viados subiscono le avance di alcuni poliziotti. Di alcuni carabinieri. E questo non può più essere consentito.
Così come in Germania non è più consentito agli immigrati di farsi scudo dell’ignoranza di leggi, di usi e costumi. Dopo l’orrore del Capodanno di Colonia, chiunque chieda di poter ottenere il permesso di soggiorno in Germania deve anche dare prova di aver capito che cosa si intende, qui da noi, in Europa, per rispetto verso le donne.
Per insegnarlo a chi non ce l’ha, il rispetto, cominciamo a dimostrarlo noi, ogni giorno, in ogni contesto. A scuola e anche all’università. In famiglia, dove certi padri andrebbero educati prima che il danno si trasmetta ai figli. E nelle caserme certo. Ministra Pinotti, comincerei anche da lì.
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