Israele, così le tecnologie salveranno l'acqua. E combatteranno il terrorismo

Il professor Rony Wallach con il suo sistema computerizzato di irrigazione
di Gianluca Perino
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Mercoledì 27 Settembre 2017, 16:19 - Ultimo aggiornamento: 19:00
Satelliti che scovano le falle nelle condutture, algoritmi che calcolano la reale qualità dell’acqua, sensori che riescono a capire quanto e quando deve essere innaffiata ogni singola pianta, sfere di plastica inserite negli invasi per evitare l’evaporazione. Il mondo che gira attorno all’”oro blu” è fatto di ingegneri, matematici ed esperti. Ma anche di ex militari, e sono tanti, che si occupano della parte più delicata del settore: la difesa dei sistemi da parte di possibili cyberattacchi. Tutti si sono dati appuntamento a Tel Aviv per il Watec Israel 2017. Con alcuni obiettivi comuni, a partire dalla razionalizzazione di questo bene fondamentale.

I NUMERI
Secondo le ultime statistiche, a livello globale, la percentuale media di utilizzo di acqua potabile per agricoltura e motivi industriali è pari ad oltre il 25%. Troppo, secondo gli esperti. Anche perché, stando a un recente studio dell'Oms (l'Organizzazione Mondiale della Sanità) sarebbero oltre settecento milioni le persone che non hanno accesso a fonti di acqua potabile, e di questi oltre la metà vive in Africa. «Dovremmo berla, non farci altro», spiega il professor Rony Wallach, che nel centro di ricerca di Rehovot, pochi chilometri a sud di Tel Aviv, sta testando un sistema di irrigazione intelligente: «Abbiamo la necessità di incrementare l’efficienza dei metodi che utilizziamo, anche usando acqua di minore qualità per nutrire i prodotti della terra. E per farlo dobbiamo puntare sulle tecnologie». Wallach ha realizzato un sistema di sensori e di cannule, tutto connesso ad un computer centrale, che analizza il suolo e ogni singola pianta, riuscendo a capire le reali necessità idriche di verdura, frutta e altro. «Posso seguire come sta procedendo la piantagione da dove voglio - spiega il professore - e intervenire da remoto sulle piante che hanno bisogno di qualcosa. Basta uno smartphone». Questa tecnologia garantisce un risultato: la netta riduzione dell’utilizzo di acqua. Certo - aggiunge lo studioso - perché quando irrighiamo con molti dei metodi tradizionali, il 50% della risorsa che utilizziamo nemmeno raggiunge le piante. Quindi, di fatto, sprechiamo e basta questo bene prezioso».

Ma la sfida alla gestione dell’oro blu non tocca soltanto l’agricoltura. Al Watec sono stati presentati anche strumenti che creano l’acqua dal nulla, come una specie di condizionatore progettato dalla Watergen: quello da casa, il più piccolo, riesce a trasformare l’umidità in trenta litri di acqua potabile al giorno. E, stando ai dati forniti dall’azienda israeliana, consuma soltanto due centesimi di elettricità per ogni litro prodotto.
Gran parte degli sforzi di start up e aziende si è però concentrata sul nodo della gestione delle condutture. Lo spreco di acqua potabile è spesso causato da falle nella rete molto difficili da individuare. Così stanno nascendo sistemi sempre più articolati di rilevazione delle perdite, basati sul lavoro di satelliti in grado di scoprire dove si trova il "buco". «Il problema è individuare prima possibile e riparare le falle - spiega uno dei manager di Utilis - e grazie a un complesso sistema di radar e satelliti, che analizza 3.500 metri quadri alla volta, adesso ci riusciamo nel 70% dei casi». 

LA CYBERGUERRA
Al Watec Israel 2017 si è discusso del futuro dell’acqua ma anche, e soprattutto, su come difenderla. «Contro le infrastrutture dell’acqua si possono mettere in pratica molte cose», spiega Yair Choen, ex comandante dell’Unità 8200, la NSA israeliana. «Ormai il mondo sta cambiando e il cyber è il nuovo strumento per attaccare i  paesi», aggiunge il generale. Dietro acquedotti, sorgenti e impianti di trattamento, stanno infatti spuntando sistemi di analisi e di difesa computerizzati in grado di rispondere ad eventuali intrusioni. Grazie a sofisticati algoritmi che leggono la composizione dell’acqua, qualsiasi variazione rispetto alla struttura standard (segno di un possibile attacco in corso) viene rilevata in tempo reale e trasmessa ad un computer che fa scattare immediatamente l’allarme. «Con questo sistema - spiega l’ex militare Orev Segev, ora manager di IoSight - comprendiamo subito se c’è un probabile inquinamento e riusciamo ad evitare che l’acqua finisca nei posti sbagliati». Non solo. Grazie a sistemi di sensori posti sui fiumi, uno degli esperimenti è sul Giordano, gli esperti ottengono informazioni sulla qualità e la velocità delle acque e, in caso di anomalie, fanno scattare la segnalazione alla struttura del governo che si occupa della sicurezza. «Tutti questi sistemi che stiamo realizzando vanno difesi - spiega Yair Choen (nella foto qui sotto) - ma per farlo servono accordi a livello globale tra i Paesi. L’esercito e la nostra intelligence hanno fatto molto per la nostra sicurezza e adesso si stanno adattando a questa nuova sfida».



Israele investe milioni di dollari in cybersicurezza. E Mekorot, la compagnia nazionale, è un colosso che fornisce il 90% di acqua potabile al Paese attraverso 12mila chilometri di grandi condutture. Un gigante che potrebbe scoprirsi debole se non adeguatamente protetto dalle intrusioni di hacker. «Noi stiamo facendo molto, ma anche gli altri dovrebbero fare altrettanto - continua Cohen - serve una rete. Dobbiamo esplorare il web più oscuro, tutti, per prevenire da dove possono arrivare gli attacchi. Il pericolo è oltre le frontiere degli Stati nazionali». Tanto è vero che qualche tentativo (riuscito) c’è già stato. Secondo notizie diffuse dal Times alcuni hacker sarebbero stati in grado di modificare i livelli di sostanze chimiche utilizzate per trattare l’acqua in un impianto dell’Est europeo. Nessuno si sarebbe ammalato, ma il prodotto finale era di fatto destinato ai rubinetti delle case. «Il problema - prosegue Choen - è che molte agenzie che gestiscono l’acqua si basano su una dotazione tecnologica obsoleta, in qualche caso risalente persino agli anni Sessanta». E quindi il sistema può essere “bucato” facilmente da hacker che vogliono dimostrare le loro capacità o, peggio ancora, da terroristi che mirano a mettere in ginocchio quei Paesi che considerano nemici.
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