L’ingegnere Carlo Pavone venne colpito alla testa da un colpo di fucile mentre sotto casa stava buttando l’immondizia. Andò subito in coma e non riprese mai conoscenza fino alla morte che sopraggiunse un anno dopo. Gli inquirenti avevano subito individuato il presunto responsabile, Vincenzo Gagliardi, che aveva una relazione sentimentale con la moglie di Pavone, Raffaella D’Este, sua collega alle Poste. L’autopsia stabilì che a raggiungere Pavone alla testa fu un colpo di fucile Flobert calibro 9. Ed è proprio sull’arma, peraltro mai ritrovata, che si incentrò la discussione sulla premeditazione: perché Gagliardi, che ha sempre negato il fatto, qualche settimana prima dell’agguato all’ingegnere aveva navigato su internet per sapere a quale distanza potesse essere fatale un colpo sparato da un Flobert calibro 9. Altro aspetto preso in esame fu quello relativo all’ora precisa della morte per verificare se l’imputato avesse o meno avuto il tempo di uccidere Pavone, a Montesilvano, e tornare a casa sua a Chieti Scalo, dove disse di trovarsi all’ora del delitto. Secondo gli investigatori ci sarebbe stato tutto il tempo per mettere in atto il piano. Nel suo ricorso il pg Romolo Como aveva anche contestato la motivazione della Corte d’appello che escluse la premeditazione sulla base di una sentenza della stessa Cassazione in relazione alla distanza di tempo tra l’omicidio e la ricerca su internet fatta da Gagliardi.
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