Studenti contro la scuola-lavoro, stanchi imitatori del neo-‘68

di Marina Valensise
3 Minuti di Lettura
Sabato 14 Ottobre 2017, 00:05
Non so se hanno ragione gli studenti delusi dall’alternanza scuola lavoro, ma il modo per dirlo li fa passare dalla parte del torto, facendoli apparire stanchi ripetitori di rituali superati, vittime di un riflesso condizionato che si ignora. E così grazie a migliaia di replicanti, il ‘68 riprende fiato. 

Da cinquant’anni a questa parte, ogni anno, nei nostri licei si ripete l’occupazione, come un rito di passaggio a un’età adulta sempre più lontana. Ancora imberbi, disorientati e privi giudizio, i liceali ora accettano che siano le mamme a accompagnarli in classe per sistemargli il sacco a pelo e passata la nottata, i pischelli antisistema si vedono recapitare dai papà il cornetto caldo. Finita l’epoca di autorità & pedagogia. Ridotti a compilatori di assurdi protocolli didattico-amministrativi, i professori sono svuotati di legittimità: quella culturale, erosa dalla tecnica che nutre l’illusione del tutto e subito, condanna la tradizione, la trasmissione del sapere, l’apprendimento graduale e costante; quella sociale, caduta sotto i colpi del discredito speciale che in Italia investe la scuola come istituzione politica, come fabbrica dell’eguaglianza vera, e cioè dell’eguaglianza artificiale, costruita sul merito per correggere la diseguaglianza naturale che invece abbonda.

Chi difende i pari diritti, infatti, non può accettare che il cretino, per di più fortunato, approfitti della situazione, mentre l’intelligente nato nella miseria abbia come unico sbocco la disperazione. Idea forse troppo rivoluzionaria per non essere aggirata dalle famiglie italiane, o da quel che resta, come le madri che prendono a ombrellate il professore che ha bocciato il loro figlio. 
In queste condizioni, una misura ragionevole come l’alternanza scuola lavoro, che offre la possibilità di un’esperienza reale nel mondo del lavoro, viene contestata dai collettivi studenteschi, scesi simultaneamente in piazza a Milano, a Genova, a Palermo, e altre 70 città, armati di passamontagna, spray, farina e uova per combattere “le politiche predatorie del governo”, “lo sfruttamento capitalistico da parte delle multinazionali”, e “riscrivere i paradigmi di una scuola più equa e più giusta”. (sic)
Il ministero ha già corretto il tiro, annunciando più fondi, più controlli, un costante monitoraggio dei percorsi di alternanza, e persino una carta dei diritti degli studenti. E d’altra parte accanto alla minoranza rivoluzionaria pronta alla mobilitazione, c’è sempre una maggioranza silenziosa che non sente il bisogno di manifestare in corteo e spaccare vetrine, anche perché forse in molti casi non può permettersi il lusso di replicare le res gestae dei nonni contestatori.

A Vibo Valentia, l’antica Monteleone capitale della Calabria nel decennio rivoluzionario francese (1806-1815), teatro di esperimenti che ancora si leggono nella sua topografia, in questi giorni decine di liceali entusiasti partecipano in nome dell’alternanza scuola lavoro al Festival della cultura in corso a Palazzo Gagliardi, armati di macchina fotografica, di videoregistratore, di un pc, o di semplice distintivo per vendere libri e accogliere gli ospiti. In una regione che ha fame atavica di lavoro come la Calabria, dove la disoccupazione giovanile è la più alta d’Europa, nessuno di questi studenti si sarà schierato coi compagni metropolitani scesi in corteo in assetto di sommossa. Forse sono solo più disperati, o solo più scettici.

Di certo, per loro, l’alternanza scuola lavoro è un’occasione per crescere, imparare, per cercare di capire cosa fare e come farlo, superando i confini tra il sapere e il saper fare. Allora, pensiamoci meglio, prima di stendere il tappeto rosso ai ribelli antisistema: respirano la critica sociale prima ancora di venire al mondo, coltivano la deriva radicale, prima ancora di imparare a pensare. L’homo democraticus è fatto così, e la corsa forsennata del politicamente corretto a distruggere idoli e autorità, vedi il recente caso Weinstein nella sua accezione isterica, non è che un’espressione del principio dell’eguaglianza. L’aggravante interviene quando la cultura perde forza di gravità per farsi marketing, quando lo spazio della riflessione cede all’usucapione da parte dei talk show, quando le menti pensanti battono in ritirata di fronte ai conduttori tv, e il regno delle idee soccombe per il trionfo della satira.
© RIPRODUZIONE RISERVATA