Da cinquant’anni a questa parte, ogni anno, nei nostri licei si ripete l’occupazione, come un rito di passaggio a un’età adulta sempre più lontana. Ancora imberbi, disorientati e privi giudizio, i liceali ora accettano che siano le mamme a accompagnarli in classe per sistemargli il sacco a pelo e passata la nottata, i pischelli antisistema si vedono recapitare dai papà il cornetto caldo. Finita l’epoca di autorità & pedagogia. Ridotti a compilatori di assurdi protocolli didattico-amministrativi, i professori sono svuotati di legittimità: quella culturale, erosa dalla tecnica che nutre l’illusione del tutto e subito, condanna la tradizione, la trasmissione del sapere, l’apprendimento graduale e costante; quella sociale, caduta sotto i colpi del discredito speciale che in Italia investe la scuola come istituzione politica, come fabbrica dell’eguaglianza vera, e cioè dell’eguaglianza artificiale, costruita sul merito per correggere la diseguaglianza naturale che invece abbonda.
Chi difende i pari diritti, infatti, non può accettare che il cretino, per di più fortunato, approfitti della situazione, mentre l’intelligente nato nella miseria abbia come unico sbocco la disperazione. Idea forse troppo rivoluzionaria per non essere aggirata dalle famiglie italiane, o da quel che resta, come le madri che prendono a ombrellate il professore che ha bocciato il loro figlio.
Il ministero ha già corretto il tiro, annunciando più fondi, più controlli, un costante monitoraggio dei percorsi di alternanza, e persino una carta dei diritti degli studenti. E d’altra parte accanto alla minoranza rivoluzionaria pronta alla mobilitazione, c’è sempre una maggioranza silenziosa che non sente il bisogno di manifestare in corteo e spaccare vetrine, anche perché forse in molti casi non può permettersi il lusso di replicare le res gestae dei nonni contestatori.
Di certo, per loro, l’alternanza scuola lavoro è un’occasione per crescere, imparare, per cercare di capire cosa fare e come farlo, superando i confini tra il sapere e il saper fare. Allora, pensiamoci meglio, prima di stendere il tappeto rosso ai ribelli antisistema: respirano la critica sociale prima ancora di venire al mondo, coltivano la deriva radicale, prima ancora di imparare a pensare. L’homo democraticus è fatto così, e la corsa forsennata del politicamente corretto a distruggere idoli e autorità, vedi il recente caso Weinstein nella sua accezione isterica, non è che un’espressione del principio dell’eguaglianza. L’aggravante interviene quando la cultura perde forza di gravità per farsi marketing, quando lo spazio della riflessione cede all’usucapione da parte dei talk show, quando le menti pensanti battono in ritirata di fronte ai conduttori tv, e il regno delle idee soccombe per il trionfo della satira.
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