La mossa americana/I nuovi ostacoli al processo di pace in Medio Oriente

di Alessandro Orsini
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Giovedì 7 Dicembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 02:49
Donald Trump ha annunciato di voler trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme per ribadire di essere completamente schierato dalla parte di Israele e che qualunque processo di pace, ammesso che sia lecito ipotizzare una sua ripresa, avverrà alle condizioni di Netanyahu. Il che significa che non avverrà.
Hamas invita alla rivolta, ma nessuna intifada potrà mutare la realtà dei fatti e cioè che Israele domina e i palestinesi sono dominati, senza che nessuno possa correre in loro aiuto.

Per comprendere come i governanti israeliani abbiano potuto attraversare i decenni senza mai recedere dal loro intento finale, che è quello di sottomettere la Palestina e imporre Gerusalemme quale propria capitale al mondo intero, occorre conoscere la strategia fondamentale degli israeliani che consiste nel non avere nessuna strategia, se non l’attesa.

Netanyahu non deve fare altro che aspettare. Il movimento palestinese si sta spegnendo lentamente per le continue sconfitte e per le divisioni interne tra l’anima moderata di al-Fatah e quella estremista di Hamas. 

Attendere è un lusso strategico che Netanyahu può permettersi per due ragioni. La prima è che Israele, di fatto, non ha più nemici reali. Nessun paese può sfidare la sua potenza da quando ha acquisito la bomba atomica. Così come gli Stati Uniti non possono più invadere la Corea del Nord, nessuno Stato può invadere Israele. Una volta stabilita la supremazia militare, Israele ha semplicemente operato per impedire a qualunque altro paese del Medio Oriente di sviluppare un programma nucleare.

Ecco perché ha elaborato la “dottrina Begin”, dal nome del primo ministro che la introdusse nel giugno 1981, dopo avere bombardato a sorpresa il reattore nucleare di Osirak, in Iraq, sulla base del sospetto che lì costruissero armi di distruzione di massa. La dottrina stabilisce che il governo israeliano si riserva il diritto di bombardare qualunque nemico regionale in cerca della bomba atomica. Un tempo, la Siria rappresentava una minaccia per Israele poiché è infeudata a Putin. Ma adesso è ridotta a un cumulo di macerie, tant’è vero che il suo dittatore, Bassar al Assad, ha appena chiesto a Netanyahu di stringere un accordo affinchè non infierisca ulteriormente contro il suo regime. Mentre riflette, Israele si leva in volo e, con estrema disinvoltura, sgancia bombe a pochi chilometri dalla capitale siriana, Damasco, dove l’Iran vorrebbe costruire una base militare. Senza che nessuno replichi ai suoi attacchi. Tanto per dare un’idea della potenza di Israele e dell’inconsistenza dei suoi nemici.

Trump, con il suo annuncio, non fa altro che mettere a nudo il fatto autoevidente che le dinamiche fondamentali in Medio Oriente dipendono dalle armi. Né potrebbe essere altrimenti perché il Medio Oriente è in una condizione di guerra permanente. Il processo di pace in Palestina è diventato soltanto un esercizio retorico in quanto Israele non ha più niente da chiedere ai suoi nemici, dato il modo in cui si sono evoluti i rapporti di forza dal 1967 a oggi. Un tempo, chiedeva sicurezza in cambio della restituzione dei territori occupati, ma adesso è uno dei paesi più sicuri del mondo. È, di fatto, inattaccabile.

È fuori discussione che il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme accendererebbe il Medio Oriente, ma, seppur in fiamme, non esiste attore mediorientale che possa modificare i rapporti di forza esistenti. Se l’Iran provasse a colpire Israele, sarebbe immediatamente aggredito da Trump che, giunto alla Casa Bianca, sta investendo tutte le sue forze per provocare Teheran. L’unico Stato che potrebbe avere un peso politico reale è la Turchia. Essendo membro della Nato, è dotata di un notevole potere coalittivo, ma un Paese in guerra dal 1948, come Israele, non teme niente, se non le armi, che nessuno può puntargli contro. 
L’annuncio di Trump, in favore di Israele, non è una semplice trovata propagandistica. È un atto di riscossione politica. È il gesto di chi ha investito e oggi incassa. Dal 1967, Israele ha costruito la sua potenza, giorno dopo giorno, mentre i suoi nemici hanno costruito la loro impotenza. Lo dimostra l’accanimento dell’Arabia Saudita e del Qatar contro la Siria di Bassar al Assad nella recente guerra civile. Gli Stati, che un tempo marciavano uniti per distruggere Israele, non hanno saputo costruire nessuna coalizione o alleanza strategica per aiutare concretamente il movimento palestinese. Conosciamo il loro argomento: è tutta colpa degli Stati Uniti. Ma noi sappiamo che, in realtà, è tutta colpa loro. 

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