Banzi (Arduino): «La scuola deve formare i bambini per lavori che ancora non esistono»

Il fondatore di Arduino, Massimo Banzi
di Alessandro Di Liegro
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Martedì 20 Febbraio 2018, 16:18 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 20:06
Il fondatore di Arduino e curatore di Maker Faire Massimo Banzi, è a Roma per presentare dei workshop su Arduino CTC101, il nuovo programma tecnologico che sfrutta le potenzialità di Arduino per insegnare ai bambini i fondamenti di programmazione e pensiero computazionale. 

Dottor Banzi, qual è il ruolo della formazione nell'apprendimento del pensiero computazionale nei bambini?
«Credo che la formazione sia importantissima, chiaramente. Ci sono un sacco di competenze, da trasferire il prima possibile, che hanno a che fare con questo secolo e con i prossimi a venire».

Già oggi vi sono programmi scolastici che insegnano ai bambini a programmare.
«Sono molto critico riguardo questi corsi perché li educano a un'attività abbastanza meccanica. Bisognerebbe introdurre metodi diversi di insegnare le tecnologie per far diventare le persone brave ad affrontare il futuro con la tecnologia».

Lei è in “tour” nelle scuole italiane per presentare il suo programma scolastico Arduino CTC101.
«Il nostro programma fa lavorare persone per progetti e fa imparare facendo. Si insegnano tante discipline ma si cerca di farle applicare a progetti. Il fatto che queste conoscenze non vengano impartite in astratto, ma hanno lo scopo di creare un progetto, aiuta molto le persone a capire che ogni cosa che fai è la somma di ciò che hai imparato».

Si può dire che l'obiettivo è quello di formare persone i cui lavori non sono ancora stati inventati?
«Io, in questo momento, mi definisco un interaction designer, ma quando ero bambino io l'interaction design non esisteva. È stato incominciato a sintetizzare negli anni 80 quando ho iniziato a fare l'università e formalizzato negli anni 90. Era un lavoro che non esisteva, la combinazione di design e tecnologia per renderla più umana per le persone. Per me è normale che succeda, la tecnologia evolve e scattano ruoli inediti. Che è un po' quando uno cerca di spiegare il loro lavoro ai loro nonni, ti accorgi come è evoluta la società perché fanno una fatica bestiale a spiegare cos'è un social media manager».

Oltre a una rivoluzione industriale, ci stiamo affacciando a una rivoluzione delle competenze?
«Quello della tecnologia è un mondo particolare, con un approccio quasi olistico, in cui hanno competenze a forma di T. L'idea è che si debba avere una adeguata preparazione su un vasto spettro di competenze, una parte orizzontale che copre più campi, e poi c'è un'area più sviluppata delle altre Bisogna essere il più aperti possibile perchè spesso l'ispirazione viene da una parte qualsiasi».

Sfatiamo un mito: i robot e l'intelligenza artificiale toglieranno lavoro invece di crearlo.
«Tutte queste tecnologie, la robotica, l'intelligenza artificiale, richiedono persone specializzate che ci lavorino sopra. Se uno è specializzato in AI può trovare lavoro ovunque nel Mondo, dove vuole. Queste tecnologie creano posti di lavoro. Adottare la robotica vuol dire che questi robot bisogna progettarli, costruirli, installarli e manutenerli. Questo genera lavoro qualificato. Siamo nel mezzo della solita trasformazione che avviene ogni qualche decennio con tecnologie che rimpiazzano quelle ormai obsolete, in cui persone con meno competenze si ritrovano a essere in sovannumero, mentre persone con le giuste competenze sono molto rare. È successo sempre».

La formazione diventa anche un modo per riqualificare personale specializzato.
«La formazione è importantissima e credo che bisogni trovare modelli di formazione per persone già adulte che esercitano professioni senza sbocchi nel futuro. Riconvertire persone con skills nuovi. Gli umani possono imparare skills nuovi a ogni età. Invogliamo le persone a dire “impara più cose che puoi, perché nel futuro avrai nuove possibilità. Il tuo ruolo, sennò, sarà difficile da trovare sul mercato”».
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