Oscar Giannino

Le nuove norme/Ora i big del web paghino il dovuto

di Oscar Giannino
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Giovedì 13 Settembre 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 15:30
La proposta di direttiva sul mercato unico digitale dei diritti d’autore è stata approvata ieri.

È stata approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo, dopo numerose e sostanziali modifiche rispetto al testo che era stato respinto a luglio scorso. Non è ancora in questa veste direttamente operativa, poiché essa è frutto di un’iniziativa congiunta, che accomuna Parlamento, Commissione e Consiglio europeo. Quindi il confronto – il cosiddetto “trilogo” – riprenderà anche sulle modifiche introdotte in Parlamento. Tuttavia è a questo punto possibile che il testo finale venga varato definitivamente prima della scadenza del Parlamento, entro la prossima primavera.

E si tratta comunque di una svolta epocale, perché interviene sulle responsabilità cogenti individuate a carico delle piattaforme digitali in maniera che sia assicurato un equo compenso tanto all’industria editoriale – all’articolo 11 della direttiva – che alla più vasta comunità dei titolari di diritto d’autore su tutte le produzioni artistiche e culturali – all’articolo 13, l’altro su cui sono divampate le più roventi polemiche. 

Facebook, Google e gli altri over the top protagonisti mondiali della rete, saranno tenuti nell’Unione europea a riconoscere un compenso alle imprese editoriali – cartacee, televisive, radiofoniche, digitali – le cui notizie vengano aggregate dalle piattaforme stesse. Quanto ai diritti d’autore, l’articolo 13 è stato profondamente modificato. Esso prevede oggi un principio di grande discontinuità rispetto alla storia di Internet: cioè la fine dell’immunità delle piattaforme rispetto a ciò che pubblicano, diversamente da quanto accade alle testate editoriali. Finora se pubblicavate su una piattaforma qualunque espressione artistica gravata da diritti d’autore, la piattaforma non rispondeva del mancato versamento del diritto. Secondo la direttiva, al contrario, potrà pubblicare solo ciò che sia tutelato da un’apposita licenza regolarmente sottoscritta che garantisca il versamento del corrispettivo del diritto. E a questo fine – la norma più delicata – le piattaforme potranno essere obbligate da governi e autorità della comunicazione di ogni Paese membro a dotarsi di appositi algoritmi volti a escludere la pubblicazione di materiali non coperti da licenza. 
E’ esattamente questa norma ad aver acceso l’incendio. Chi ha votato “no” teme che da una parte l’algoritmo possa essere per così dire troppo “vasto”, finendo per esercitare censura. Dall’altra parte, che a seguito delle numerose eccezioni che è stato necessario prevedere per evitare che risultasse un boomerang – per esempio contro le enciclopedie digitali - la norma stessa finisca per essere semplicemente la controprova in se stessa della propria inadeguatezza, riducendo a sole eccezioni a vantaggio di soggetti a fini non di lucro un campo che è molto più vasto, di tutti coloro cioè che sono portatori di diritti più vasti come quello della libertà di espressione e della libertà d’impresa.

Vedremo come il confronto sul testo ridurrà ulteriormente i possibili rischi. Ma in ogni caso il diritto al compenso delle imprese editoriali europee e di chi in Ue gode della tutela del diritto d’autore è una svolta che non ha nulla a che vedere con la violazione della libertà degli utenti della rete. In che cosa si lede la libertà e di chi, se Yahoo, Google e consimili giganti sono chiamati a corrispondere alle imprese editoriali qualcosa di analogo a quanto esse sono già sempre più costrette a chiedere ai propri lettori online di pagare, per potervi direttamente accedere? Che cosa c’entra la libertà in pericolo, quando quelle notizie e quelle analisi vengono elaborate da dipendenti e collaboratori di imprese che a questo fine investono, e che vedono sempre più erosi i propri margini di raccolta pubblicitaria inevitabilmente proprio dalla rete? E che per di più sulle proprie attività, sul proprio reddito, sui propri asset e immobilizzi pagano imposte nazionali assai più elevate di quanto non sia consentito alle grandi piattaforme digitali dal libero arbitraggio internazionale, alla ricerca di ordinamenti dalle più moderate richieste fiscali? Analoghe considerazioni valgono per le intere filiere dell’industria creativa, che sin qui era impossibilita a vedersi garantita su Internet la propria legittima fonte di sostentamento economico.

Certo, ora occorre vigilare perché questi princìpi abbiano coerente ed equilibrata attuazione. Sarà una vicenda ancora lunga e complessa, chiamando a confronto ordinamento europeo, statunitense e diverse legislazioni nazionali europee. Come dimostra la polemica pluriennale sin qui irrisolta in materia fiscale, serve la definizione di standard comuni e condivisi tra le due rive dell’Atlantico sulla tassazione della proprietà digitale, sulla compartecipazione ai costi delle infrastrutture digitali - le reti a banda larga e ultralarga di qui quelle piattaforme si avvantaggiano senza avervi messo un penny. Sono questioni che possono trovare equa soluzione solo se condivise tra ordinamenti continentali, nell’ambito di un grande negoziato globale, come globale è la rete. Ma il pregio di questa direttiva europea a tutela del diritto d’autore era ed è appunto un approccio comune europeo, volto a evitare che tutele diverse in ogni singolo Paese membro venissero eluse dai giganti over the top.

C’è un altro aspetto molto importante da rilevare, nel voto di ieri. Ai no espressi assecondando le energiche pressione delle grandi piattaforme internazionali, si sono aggiunti quelli di forze politiche populiste che in Europa sostengono governi che attaccano la libertà d’informazione, la piegano in Paesi come Polonia e Ungheria ai voleri del governo, e utilizzano vaste reti di produzione di notizie verosimili o false per animare le proprie campagne. Quei no non sono espressi in nome della libertà, ma a favore del fatto che la rete resti un porto franco rispetto a ogni criterio di verifica delle notizie, e a ogni responsabilità per chi le pubblica. 

Quei no sono contro ogni criterio di “libertà responsabile” della rete, che è ormai parte costitutiva delle libertà essenziali, in ogni angolo del mondo che voglia definirsi libero. Sono dei no in nome di una rete strumento di travolgente demagogia. Tanto travolgente da non curarsi del fatto che, come nessuno penserebbe che debba esistere la libertà per un’impresa di non pagare un proprio lavoratore, allo stesso modo è del tutto analogo che non sia libertà quella di non pagare per le notizie che produce l’impresa editoriale che le elabora, o l’autore o la produzione cinematografica o musicale senza cui non esisterebbero libri, film e canzoni. 
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