IL CANALE DI USCITA
L’offensiva è guidata dalla Lega per la quale l’intervento sulle pensioni rappresenta a questo punto una bandiera fondamentale in vista della campagna autunnale: forse anche più importante della stessa flat tax che comunque vadano le cose non sarà tale se non dopo alcuni anni. Più prudente l’atteggiamento del Movimento Cinque Stelle, che ieri con Lorenzo Fioramonti (sottosegretario all’Istruzione ma anche economista pentastellato) ha ricordato come il ministero dell’Economia stia lavorando ancora all’ipotesi base, quella che permetteva di arrivare alla quota 100 sommando almeno 64 di età con 36 di contributi. Questa misura, insieme all’altro canale di uscita esclusivamente contributivo (pensionamento con 41 anni e mezzo di versamenti) faceva sostanzialmente parte del contratto di governo tra le due forze di maggioranza; contratto che su questa misura a differenza di altre prevedeva anche un esplicito tetto di spesa a 5 miliardi. Nelle settimane scorse era stato ipotizzato di contenere questa voce a un livello più basso, 3-4 miliardi.
Con l’età minima a 62 anni, solo in parte compensata dal requisito di impegnativo di 38 anni di contributi, il provvedimento permetterà l’uscita anticipata a un numero molto maggiore di persone, con un costo per il bilancio dello Stato che è ancora in corso di valutazione ma pur con qualche vincolo difficilmente potrà scendere sotto i 10 miliardi. Un impegno finanziario rilevantissimo che però permetterebbe alla Lega - sul piano politico - di accontentare una platea di lavoratori dalla solida carriera contributiva, molti dei quali risiedono al Nord. Inoltre l’uscita a 62 anni mette il nuovo provvedimento al riparo dalle possibili critiche che scaturirebbero dal confronto con l’Ape social: la misura voluta dal governo Renzi e destinata a non essere confermata il prossimo anno permette infatti di accedere al trattamento provvisorio (in vista della pensione) già a 63 anni, pur se per una platea limitata ad alcune categorie. Si può anche ricordare che prima della riforma Fornero le regole previdenziali prevedevano come tappa finale per la pensione di anzianità una “quota 97” con uscita minima a 61 anni (e 36 di contributi).
Dal punto di vista del M5s, che pure in campagna elettorale si era battuto contro la legge Fornero, le cose stanno un po’ diversamente: l’ampliamento del capitolo previdenza rischia di drenare risorse al reddito di cittadinanza, che l’altro vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio vuole a tutti i costi vedere in azione a partire dal prossimo anno: non basterà quindi la riforma dei centri per l’impiego (da realizzare con l’aiuto del Fondo sociale europeo) ma dovranno iniziare le prime erogazioni almeno parziali del sussidio, che inevitabilmente attingerà alle risorse già destinata al reddito di inclusione voluto dal governo Gentiloni.
I VINCOLI
La decisione in tema di pensioni si collega naturalmente con quella più generale che il governo deve prendere a proposito dei vincoli di bilancio: se passerà la linea del ministro Tria che intende contenere il rapporto deficit/Pil del 2019 nei limiti dell’1,6-1,7 per cento allora sarà veramente difficile trovare i fondi per la quota 100 immaginata da Salvini. Se invece prevarrà un orientamento meno rigorista, allora i conteggi sarebbero più facili pur se con il rischio di uno scontro con l’Unione europea. In questo contesto non è escluso che lo stesso ministero dell’Economia possa elaborare una propria soluzione al rebus previdenza, compatibile con i vincoli finanziari e nei limiti del possibile con quelli politici.
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