L'Aquila assediata dagli incendi: «C'è la mano dei piromani». Città sei giorni ostaggio delle fiamme

L'Aquila
di Stefano Dascoli
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Mercoledì 5 Agosto 2020, 07:13 - Ultimo aggiornamento: 07:24

L'AQUILA C'è la mano dell'uomo dietro la più grande sciagura che L'Aquila ricordi dopo quella del terremoto del 2009, persino più grave di quella del 2007, quando bruciarono 350 ettari del bosco e dei sentieri più amati, a San Giuliano, a ridosso della città. Stavolta, se possibile, con il rogo che è arrivato a 100 metri dalle case e per sei giorni ha tenuto occupata qui mezza flotta area nazionale tra Canadair ed elicotteri, gettando nel panico il quartiere più popoloso della città, quello di Pettino, alle pendici del monte, si è andati addirittura oltre. 

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Per superficie coinvolta, ma soprattutto perché gli inquirenti paiono convinti di una sorta strategia del terrore, ben pianificata, con attacchi in più punti, soprattutto nei valloni più profondi in grado di produrre l'effetto-camino, nel bel mezzo di un sottobosco molto fitto che ha reso lo spegnimento una lotta quasi impari fino alla pioggia di ieri sera, arrivata come manna dal cielo. 

L'inchiesta aperta dalla Procura aquilana, che deve ancora muovere i primi passi, al momento si basa sull'ipotesi di reato di incendio boschivo. Potrà prendere altre pieghe qualora, dalle relazioni degli operatori sul campo (Vigili del Fuoco e carabinieri forestali in primis) dovesse emergere altro. Per il momento sono stati sequestrati diversi oggetti ritenuti d'interesse: inneschi rudimentali (uno, in particolare, composto da una cannuccia che teneva incollata carta appallottolata), bottiglie di plastica e altro materiale. Servirà del tempo per capire l'eventuale legame con l'azione dei piromani. 
 



LA SCINTILLA AD ARISCHIA
Quel che è certo, finora, è che la scintilla, scattata giovedì a chilometri di distanza, nel bosco di Arischia, è stata prodotta dalla mano dell'uomo, come documentano i ritrovamenti in più punti e come dicono chiaramente i carabinieri forestali. Il giorno successivo, venerdì, l'incendio è scattato nella pineta cittadina del monte di Pettino, frutto di un rimboschimento degli anni Trenta e Quaranta, alle cui pendici vivono quindicimila persone che per quattro notti, sembrate eterne, si sono sentite assediate, con le fiamme stagliarsi minacciose nell'oscurità a poca distanza in alcuni punti ad appena cento metri - e il fumo acre a rendere l'aria irrespirabile fin dentro alle case. 

Su questa linea bassa, che ha messo in pericolo anche l'elettrodotto che serve buona parte della città, sono stati necessari lanci di acqua e schiuma a ripetizione dall'alto, ma anche presidi a terra di vigili del fuoco e Protezione civile, per scongiurare il peggio. In alcuni punti (in particolare in zona Cansatessa e in via Francia) sono stati tagliati piante e alberi in una corsa disperata a frapporre una linea tagliafuoco tra le fiamme in avanzamento e le abitazioni. 
Più su, invece, fin sulla cresta del monte, la battaglia è stata di un altro tipo. Disperata, nel tentativo di salvare i sentieri più belli, i polmoni verdi che hanno salvato la psiche dopo il sisma e il coronavirus: passo Crudele, via dei Cipressi, fonte Cascio, la Rocchetta. Luoghi che hanno subito danni forse irreversibili. Ecco perché ieri, di buon mattino, duecento persone tra Protezione civile, Esercito e vigili del fuoco si sono portati sulla cresta della montagna per aprire vie tagliafuoco e proteggere la zona di Madonna Fore, quella già interessata dai roghi del 2007. 

MOBILITAZIONE DI MEZZIUn'impresa ardua che pare essere riuscita, anche se per la conta effettiva bisognerà aspettare. Un'emergenza nazionale vera e propria: Canadair, fino a sette nella stessa giornata, ed elicotteri Erikson di vigili del fuoco e Protezione civile hanno lanciato anche cinquecento volte in dodici ore, ma purtroppo spesso e volentieri acqua e schiuma sono state respinte dalla vegetazione fittissima, non arrivando nel sottobosco dove, dunque, il fuoco ha continuato incessantemente a covare, alimentato dal caldo e dai venti notturni, in una sorta di girone dantesco.

Aquilani disperati e attoniti, moltissimi in lacrime per l'ennesimo dolore di questi anni maledetti. 
Tanto che c'è chi si è voluto riversare lo stesso sui monti, per dare una mano, per pulire i sentieri, per salvare il salvabile. Finché il sindaco, Pierluigi Biondi, su input di Prefettura e vigili del fuoco, ha emanato un'ordinanza che lo ha vietato. Scatenando polemiche. Ieri un volontario si è anche fatto male ed è dovuto intervenire l'Esercito. L'acquazzone di ieri sera ha dato una mano. Oggi si capirà se decisiva o no. Passata la crisi, le attenzioni saranno rivolte tutte alla richiesta di stato di emergenza nazionale e alla caccia ai piromani. Lo ha invocato il governatore, Marco Marsilio, apertamente.
 

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