Coronavirus Alzano, casi ignorati a dicembre: «Da fine anno oltre 100 polmoniti anomale»

Alzano, casi ignorati a dicembre: «Già a fine 2019 oltre 100 casi»
di Claudia Guasco
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Mercoledì 1 Luglio 2020, 00:23 - Ultimo aggiornamento: 11:12

Tra novembre e gennaio, quando il Covid-19 era una minaccia esotica confinata in Hubei, all’ospedale di Alzano Lombardo sono stati ricoverati 110 pazienti colpiti da polmonite con «agente non specificato». Era il primo attacco del virus, non riconosciuto e sottovalutato? Oppure solo polmoniti anomale, come accade ogni anno? Di certo l’impennata di contagi impressiona: nel 2018 i casi sono stati 196 in tutto, l’anno dopo 256, il 30% in più. I dati, forniti dall’Ats Bergamo e dall’Asst Bergamo Est, sono confluiti nel fascicolo della procura che indaga per epidemia colposa sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano e sulla zona rossa mai decretata nell’area della bassa Val Seriana.

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Dalle relazioni firmate dall’assessore regionale Massimo Gallera, dal direttore generale di Ats Bergamo Massimo Giupponi e dal dg dell’ospedale di Alzano Francesco Locati non si evince se quei numeri, che avrebbero potuto far scattare l’allarme pandemia, siano stati comunicati alla Regione già a novembre. Il Covid entra ufficialmente nella bergamasca domenica 23 febbraio, certificato dai tamponi positivi dei primi due pazienti, ma nei mesi precedenti si sono intensificati i ricoveri con diagnosi in codice 486: termine medico per descrivere una «polmonite con agente non specificato». La crescita è netta: 18 malati a novembre, 40 a dicembre, altre 52 a gennaio. Centodieci tra novembre e il 23 febbraio, giorno in cui alle cartelle si è aggiunta la voce «polmonite da Sars - coronavirus associato». Nel rapporto di Giupponi si legge che «dal 1 dicembre al 23 febbraio al “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo risultano 145 dimessi con diagnosi comprese tra i diversi codici utilizzati nella classificazione delle malattie di polmonite. La semplice analisi della “Scheda di dimissione ospedaliera” non permette di poter ascrivere tale diagnosi a casi di infezione misconosciuta da Sars Cov-2». E ora l’Ats precisa che «non sono riscontrabili evidenze statistiche» che facciano sospettare «una presenza precoce di ricoveri per polmoniti» da Covid in provincia di Bergamo nel «dicembre 2019 e a gennaio e febbraio 2020: il trend è coerente con il passato». I magistrati vogliono capire se è davvero così, se quelle infezioni non fossero invece avvisaglie sottovalutate dell’epidemia. E fanno anche un passo in più: la diagnosi dei casi di Covid-19 avviene solo tramite tampone e due circolari ministeriali indicano i protocolli da seguire negli ospedali. La prima bozza del 22 gennaio prevedeva controlli in caso di decorso clinico sospetto, dal 27 gennaio questo criterio sparisce e le direttive del Ministero della Sanità impongono il test solo per chi arriva dalla Cina o è stato in contatto con cinesi. «Studi sierologici e lettura a posteriori delle cartelle cliniche confermano la presenza del virus sul territorio già da diversi mesi. I medici hanno fatto il loro dovere. I protocolli erano sbagliati», afferma il presidente della Lombardia Attilio Fontana. Che ammette di essere al corrente della precoce presenza del virus, ma attacca i protocolli del governo.

Se su tutti i malati sospetti dal 22 gennaio in poi fosse stato effettuato il tampone e la bergamasca isolata, è l’ipotesi dei pm, forse ora non si piangerebbero 6.000 morti. È questo il momento cruciale della pandemia e secondo il professor Massimo Galli, direttore del reparto di malattie infettive al Sacco di Milano, quell’esplosione di polmoniti all’inizio dell’inverno va presa con le molle. «Il virus cinese arriva in Italia dalla Germania tra il 18 e il 19 gennaio, il focolaio è stato riconosciuto il 22-23 gennaio - spiega - Noi, sulla base di più di 100 sequenze, abbiamo riconfermato che verosimilmente il Covid entra nel nostro Paese attorno al 26 gennaio. Se fosse comparso a novembre, per le caratteristiche violente che ha, avrebbe provocato un disastro già a dicembre».
 

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