Torino, guardia carceraria sottoposta al “gay-test. I giudici: «Va risarcito»

L’agente sottoposto a esame psichiatrico per una denuncia falsa da parte di due detenuti

Torino, guardia carceraria sottoposta al “gay-test. I giudici: «Va risarcito»
di Valentina Errante
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Giovedì 18 Aprile 2024, 05:55

Adesso il ministero della Giustizia dovrà risarcirlo per il danno morale: 10mila euro per «la vastità, la gravità e l’irritualità degli effetti pregiudizievoli causati al lavoratore». Un test «invasivo» per stabilire se il dipendente fosse omosessuale, «veicolando l'idea per cui l'omosessualità attribuitagli potesse essere un disturbo della personalità».

Tutto era cominciato con un procedimento disciplinare nei confronti dell’agente penitenziario scelto, in servizio prima a Vercelli e poi a Foggia. Una pratica aperta sulla base delle dichiarazioni di due detenuti, che avevano denunciato avances sessuali da parte dell’uomo. Ma l’amministrazione non si era limitata a stabilire se quelle accuse fossero fondate. I superiori dell’agente gli avevano subito annunciato che il suo “caso” sarebbe stato sottoposto alla Commissione medica di Milano, per stabilire se avesse disturbi della personalità. E così l’uomo si era trovato a rispondere a «domande “ambigue” circa il proprio orientamento sessuale ed erano stati disposti accertamenti psichiatrici presso la competente Commissione medica ospedaliera finalizzati ad accertare la propria omosessualità». La Commissione, alla fine, non aveva riscontrato elementi da cui desumere l’inidoneità al servizio, il procedimento disciplinare era stato archiviato per mancanza di prove dei fatti contestati. Ma l’agente, nel 2022, si è rivolto al Tar del Piemonte: «Tenendo conto della vastità, gravità e irritualità degli effetti pregiudizievoli causati». E sottolineando nel ricorso la condotta con cui l’amministrazione lo aveva “messo alla gogna” «sottoponendolo a penetranti controlli psichiatrici» circostanza che aveva determinato uno stato di sofferenza, anche tenuto conto della diffusione, all’interno dell’ambiente di lavoro, di informazioni relative alla propria vicenda personale. Fu messa in dubbio l'idoneità al lavoro del poliziotto «veicolando l'idea per cui l'omosessualità attribuitagli potesse essere un disturbo della personalità».

LA DECISIONE

Per i giudici conta ben poco che formalmente la visita sia stata disposta per accertamenti relativi a “reazione a grave stress e disturbi dell’adattamento”, «in quanto - scrivono - dallo stesso contenuto della relazione predisposta dal Comandante superiore si desume, con elevato grado di verosimiglianza, che tali accertamenti psichiatrici sono stati disposti per fare chiarezza sulla personalità del ricorrente a seguito dell’apertura del summenzionato procedimento disciplinare».

E il Tribunale chiarisce: «La condotta tenuta dall’amministrazione può essere qualificata come illecita e foriera, per il ricorrente, di un danno non patrimoniale risarcibile». I giudici sottolineano che l’amministrazione ha sottoposto l’agente a un colloquio con il medico competente e, successivamente, ad un accertamento psichiatrico «per fare chiarezza sulla “personalità” del dipendente in assenza di elementi concreti che consentissero di ritenere anche solo possibile che il ricorrente fosse affetto da un disturbo della personalità».

Una «decisione sia arbitraria e priva di un valido supporto giuridico, oltreché tecnico-scientifico, atteso che l’amministrazione indebitamente ha operato una sovrapposizione tra l’orientamento sessuale del ricorrente e la necessità di “fare chiarezza sulla personalità” di quest’ultimo sul versante psichiatrico, operando un’illegittima inferenza tra la presunta omosessualità dell’agente e l’esistenza di un disturbo della personalità».

STIGMA

«Una simile condotta - si legge ancora nella sentenza - è idonea ad arrecare una lesione non patrimoniale, sotto forma di danno morale, in quanto può ritenersi che il ricorrente abbia patito una sofferenza interiore derivante dall’essersi visto attribuire lo “stigma” di un disturbo della personalità da parte dei superiori gerarchici (con la conseguente sottoposizione a visita psichiatrica) senza che sussistesse alcun elemento indiziario che deponesse in tale direzione e suggerisse l’opportunità di espletare approfondimenti medico-legali».

IL SINDACATO

Una causa supportata dall’Osapp, il sindacato autonomo degli agenti penitenziari, che con una nota del segretario generale Leo Beneduci sottolinea: «Le accuse di omosessualità formulate nei confronti del poliziotto penitenziario, oltreché ingiuste e anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione, sono state tali che abbiamo ritenuto giusto fornire la massima assistenza in sede disciplinare e, per quanto riguarda il procedimento al Tar, l'assistenza legale per mezzo dell'avvocato Roberto Preve del Foro di Torino». E Beneduci chiosa: «Alle tante incongruenze ed incapacità constatate negli organi dell'amministrazione penitenziaria fino a pochi mesi fa non ritenevamo di dover aggiungere anche quella di una palese e ingiustificata omofobia».

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