Sud, doppio gap per le donne meno lavoro e pochi asili nido

Sud, doppio gap per le donne: meno lavoro e pochi asili nido
di Luca Cifoni
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Lunedì 17 Agosto 2020, 00:37 - Ultimo aggiornamento: 22:15

Un divario nel divario, antico e difficile da colmare. Ma forse anche un’opportunità che ora potrebbe essere finalmente colta. Se le Regioni meridionali sono indietro al resto del Paese in termini di Pil pro capite e di occupazione, i numeri su lavoro e redditi illustrano quasi brutalmente un’ulteriore drammatica spaccatura: quella tra uomini e donne.

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LO SCENARIO

Partiamo dal tasso di occupazione: a fine 2019 era in Italia al 59,2 per cento, quasi dieci punti più in basso della media europea. Il dato complessivo nasconde però la differenza di genere: se gli uomini tra i 15 e i 64 anni che lavorano sono il 68,3%, tra le donne la percentuale scende di ben 18 punti, al 50,1. Ma la distanza, che è marcata al Nord e al Centro (circa 15 punti) diventa abissale nel Mezzogiorno, dove si dilata ad oltre 24 punti, su livelli di occupazione che sono più bassi anche per i maschi. Ecco quindi che nel Sud e nelle isole lavora solo il 33 per cento delle donne che appartengono a quella fascia di età. Una su tre, un valore che è poco più della metà del 60 per cento che si registra a Nord. I numeri dell’Istat permettono di scendere ancora di più nel dettaglio: la Puglia è la Regione con il massimo divario di genere (27 punti) e nella provincia di Barletta–Trani-Andria si arriva a 30, contro i 4,6 di Trieste che è la provincia italiana con la minore distanza tra uomini e donne. Tra le grandi città, il gap occupazionale è di 10 punti a Milano e di 13 a Roma mentre Napoli raggiunge i 25. «Si conferma che i territori con più alti livelli di partecipazione complessiva hanno anche una maggiore partecipazione femminile» osserva l’istituto di statistica in un suo recente focus. In altre parole: quando l’economia corre, le donne danno un contributo decisivo. Ma se per una donna del Meridione lavorare è una conquista, di per sé questo status fornisce garanzie minori di quelle offerte in altre parti del Paese. Un’altra rilevazione dell’Istat, quella sui “Differenziali retributivi nel settore privato”, (il riferimento è ai redditi 2016) segnala come nelle Regioni del Sud l’incidenza dei lavori a bassa retribuzione sia molto più alta per le donne (20,1 per cento) rispetto agli uomini (14,7).
 

LE REGIONI

La Basilicata è la Regione con la quota più alta di lavoratrici con retribuzione inferiore alla mediana: sono il 63 per cento, mentre la percentuale di uomini in questa condizione si ferma al 43,7. Proviamo a sintetizzare al massimo il significato di tutti questi numeri. Il Mezzogiorno è un serbatoio di crescita inespressa per tutto il Paese, come fanno osservare da tempo gli economisti; il lavoro delle donne rappresenta a sua volta una riserva a cui i territori meridionali - in presenza di adeguati investimenti - potrebbero attingere per avviare la chiusura del gap con il Centro-Nord. Cosa serve per aiutare un processo del genere a mettersi in modo? Non esistono ricette magiche, ma ci sono alcuni fattori che vanno considerati con attenzione. Il primo riguarda i servizi alla persona, asili nido ma anche assistenza agli anziani. La visione di un Sud in cui il modello familiare tradizionale si contrappone alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro appare piuttosto superata, se si considera che le donne meridionali hanno ormai un numero medio di figli inferiore alla pur bassa media nazionale.
 

GLI STUDI

E del resto centinaia di pagine di studi e statistiche ci ricordano che in molti Paesi europei alti livelli di occupazione femminile si accompagnano a tassi di fertilità meno esigui del nostro. Ma una rete di servizi degna di questo nome o comunque all’altezza di quelle di alcune Regioni del Nord potrebbe dare una doppia spinta: sia aiutando le donne a entrare nel mondo del lavoro e a non uscirne (e anche a restare al Sud quando hanno già questo orientamento), sia assorbendo direttamente forza lavoro femminile. C’è poi il tema del fisco e degli incentivi. Specifiche decontribuzioni per le assunzioni in rosa sono state proposte in passato e il governo intendeva ancora seguire questa strada con il recente Piano Sud 2030 (prima che si facesse strada l’idea di un fisco di vantaggio generalizzato per tutti). È stata battuta, in modo non molto coordinato, anche la via delle agevolazioni all’imprenditoria femminile. Autorevoli istituzioni tra cui la Banca d’Italia hanno proposto un passo ulteriore, la riduzione della tassazione personale sul secondo percettore di reddito familiare (le donne nella maggior parte dei casi). Un meccanismo abbastanza inedito e tutto da verificare sul piano tecnico, che però ha un obiettivo chiaro: rendere più conveniente la scelta di lavorare.

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