È cominciato il tiro al bersaglio sugli Stati Uniti? L’America ha perso il primato di superpotenza intoccabile? Pesa, certo, il ricordo del ritiro caotico e precipitoso delle forze americane dall’Afghanistan, nell’estate del 2021. Da allora, la guerra in Ucraina e la ferma posizione di Joe Biden al fianco di Zelensky, con flussi di armi e supporto, soprattutto di intelligence, che sono riusciti a bloccare l’avanzata russa e costringere Putin a una lunga e penosa guerra d’attrito, al ritiro disordinato dei carrarmati impantanati sulla strada per Kiev e alla fuga da parte del Donbass, avevano riportato alte le quotazioni degli Stati Uniti. Poi, però, Putin ha ripreso ad avanzare, la controffensiva ucraina si è arenata e Biden deve faticare per far passare i nuovi pacchetti di aiuti militari per Kiev. Soprattutto, è esploso il Medio Oriente proprio nel momento in cui il Presidente dem pensava di aver chiuso l’accordo per avviare le relazioni tra Arabia Saudita e Israele.
LE MINACCE
Oggi, le navi americane sono bersagliate da droni e barchini di miliziani houthi nel Mar Rosso e dopo decine di attacchi mirati alle basi a stelle e strisce disseminate tra Siria e Iraq, ieri per la prima volta sono stati uccisi tre soldati e trenta sono rimasti feriti per l’attacco di un drone.
I FRONTI
Biden si trova già impegnato in un’altra e forse più complicata guerra, quella domestica per le presidenziali, con il fiato sul collo di Trump che tutti danno per vincitore. E non a caso, dopo l’attacco dei droni alla postazione “Tower 22”, secondo alcuni addirittura in Giordania, secondo altri nella terra di nessuno al confine siriano, anzi dentro la Siria vicino a una base aerea che gli americani conservano per controllare le linee di comunicazione tra Baghdad e Amman, i repubblicani incitano il presidente democratico a dare una sonora lezione agli Ayatollah. Sarebbe quell’attacco diretto che Biden si è sempre rifiutato di ordinare, sapendo che sarebbe sbagliato innescare un conflitto aperto con Teheran (una guerra che neanche l’Iran, in fondo, vuole, preferendo muovere le leve delle milizie alleate, senza “sporcarsi le mani”).
IL CONTO ALLA ROVESCIA
Il punto è: fino a quando l’America di Biden potrà evitare la risposta diretta? Qual è il punto di equilibrio tra la credibilità di superpotenza e la freddezza di una politica che proprio i Grandi devono saper gestire con misura? «La realtà – spiega l’ambasciatore Michele Valensise, già segretario generale della Farnesina e presidente della Centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni – è che in questo momento gli Stati Uniti sono impegnati in un’operazione molto delicata e difficile, la trattativa per la tregua a Gaza, che fa piacere ad alcuni e molto meno piacere ad altri. L’attacco ai militari americani va collegato alla solidarietà di Biden a Israele per il 7 ottobre e alla pressione, sullo stesso Israele, per moderare la risposta militare e a favore dei due Stati. Se gli Usa riusciranno ad abbassare la temperatura nell’area, c’è chi non sarà contento». La risposta non devastante, non diretta ma calibrata e ragionata, sarebbe allora una dimostrazione di forza e non di debolezza da parte sua. «La forza – dice Valensise – consiste proprio nella capacità di mantenere i nervi saldi».
LA VARIABILE ELEZIONI
Per l’ex ambasciatore negli Usa e ex consigliere diplomatico di diversi premier, Gianni Castellaneta, gioca pure la variabile Trump. «Tutti pensano che Trump vincerà e uscirà dalla Nato ritirandosi nei confini americani, quasi fosse un gigante che non vuole combattere in aree come il Medio Oriente e l’Ucraina. Ecco, se fra otto mesi sarà lui alla Casa Bianca, cosa che non credo, il calcolo di certe milizie mediorientali è che Trump mollerà Israele e l’Ucraina e loro a quel punto si troveranno in una posizione di forza. Ma attaccare direttamente l’Iran sarebbe una follia per l’America. Biden è un leader con cinquant’anni di esperienza, prenderà la decisione giusta». In fondo lo scenario si ripete, se già si è sfiorato in Europa l’incidente in Ucraina con la caduta di missili di Putin in Polonia, Romania e Moldavia senza provocare l’intervento della Nato. «La risposta americana a Teheran per gli attacchi delle milizie proxy potrebbe essere forte, ma indiretta», conclude Castellaneta.