Putin, la Bulgaria, la vittoria di Boyko Borissov e l'exploit dell'estrema destra filorussa ​che può spostare gli equilibri della guerra

Il conservatore Borissov vince la tornata elettorale in volata sul democratico Petkov: dalle sue alleanze di governo dipenderà il ruolo futuro del Paese nel conflitto a Est

Il leader del GERB Boyko Borissov
di Gianluca Cordella
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Martedì 4 Aprile 2023, 11:13 - Ultimo aggiornamento: 12:37

Cinque elezioni negli ultimi due anni: la fotografia di una instabilità politica dalla quale adesso la Bulgaria spera di uscire. La tornata elettorale dello scorso weekend, pur non rubando le copertine alla stampa internazionale, assume in realtà un grande peso nelle sorti del conflitto tra Russia e Ucraina. Il motivo è molto semplice: il Paese è entrato nella Nato nel 2004 e nell'Ue tre anni dopo, ma nonostante questo slancio occidentalista ha dovuto sempre fare i conti con una ampia fetta di nostalgici che non hanno mai reciso i rapporti con Mosca e con l'Unione sovietica che fu. Non a caso un sondaggio del novembre 2022 raccontava di un 48% di cittadini che si considera neutrale sulla guerra in corso, con il 23% che sostiene Kiev, di fronte a un 21% che sposa le ragioni di Mosca. Numeri che spiegano perché nel 2021, l'analista Mark Kramer del Davis Center dell'Università di Harvard definì Sofia «l'anello debole della Nato».

La Finlandia ha virato a destra, elettori in cerca di certezze

E questa frattura si riflette alla perfezione anche nell'esito delle urne. L'ha spuntata il partito di centrodestra, il Gerb, guidato da Boyko Borissov con il 26,5% dei voti, superando in volata Kiril Petkov, leader della coalizione democratica, che si è fermato al 24,6%. Alle loro spalle boom del partito di estrema destra filo-russo Rinascita, votato dal 14,2% degli elettori che hanno sposato un programma politico incentrato sull'appoggio a Mosca e sull'uscita dalla Ue. E poi c'è il Movimento per i diritti e le libertà, centrista e principale rappresentante della minoranza turca, che ha toccato il 13,5%.

Con chi formerà il governo Borissov? Personaggio controverso, con pesanti accuse di razzismo e connivenza con la criminalità, ha già intascato il «no, grazie» di Petkov. E per la verità era anche difficile immaginare un'intesa tra le parti considerando che Petkov è ritenuto tra i “mandanti” dell'arresto per corruzione di Borissov a inizio 2022. Dovrà guardare ai partiti più piccoli. E qualsiasi soluzione è abbastanza complicata da pensare, considerando che il leader della destra aveva vinto le elezioni già a ottobre – appena sei mesi fa, dunque - e anche in quella circostanza non era riuscito a formare il governo.

Ma non è tutto: perché qualunque sia la coalizione che andrà al governo dovrà fare i conti con la presenza ingombrante di Rumen Radev, il presidente bulgaro, ex capo dell'aviazione, ex pilota dei MiG-29 e, secondo una buona parte degli analisti occidentali, uno dei più preziosi amici di Vladimir Putin all'interno del blocco occidentale.


La fornitura di armi

Normale che il Cremlino segua con interesse il corso degli eventi. Perché dalla composizione del nuovo governo si potrà capire quale sarà il ruolo della Bulgaria nel conflitto russo-ucraino. Una posizione che tanto la Ue quanto Mosca ritengono strategica e funzionale. Il Paese, infatti, è storicamente tra i maggiori produttori di proiettili e munizioni di tutta l'Europa. Specie per armare i vecchi mezzi di matrice sovietica. Quelli, per intendersi, che ha in dotazione Kiev. L'Ue ha in mente di rifornire con un milione di colpi di artiglieria l'esercito di Zelensky, per sostenere la controffensiva di primavera, ed evidentemente in questo scenario Sofia gioca un ruolo chiave. Il commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton a marzo ha visitato la Bulgaria sottolineandone «la buona capacità di aumentare significativamente la produzione (di proiettili), in un lasso di tempo che potrebbe essere compatibile con quello che stiamo cercando». E il Paese ovviamente sta fiutando l'affare: a febbraio, un impianto di munizioni dell'era sovietica nella città montana occidentale di Kostenets ha riaperto appositamente per produrre colpi di artiglieria da 122 mm. I nuovi proiettili saranno i primi a uscire dalle linee di produzione di quella fabbrica dal 1988. E nel solo 2022 le esportazioni di materiale bellico hanno superato i 3 miliardi di dollari, circa cinque volte la cifra registrata nel 2019.


Il conflitto interno

Ma, come detto, le necessità del Paese fanno a cazzotti con le idee politiche di buona parte dei bulgari. Basti pensare che il dem Petkov, che era primo ministro quando iniziò la guerra in Ucraina, dovette lavorare sotto traccia per inviare materiale bellico a Kiev, in linea con la Nato, senza che la Russia ne fosse al corrente (il piano era stato svelato poi dal quotidiano tedesco Die Welt). Gli aiuti militari sono stati approvati pubblicamente solo nel novembre scorso, dopo mesi di aspri dibattiti. E comunque, anche dopo il voto del parlamento, il presidente Radev era insorto contro «i politici amanti della guerra». Sostenendo, inoltre, che la Bulgaria non si sarebbe mai fatta indietro in merito alle forniture di proiettili per gli alleati della Nato. «Ma non per l'Ucraina», aveva tagliato corto. Un modo per mandare un messaggio chiaro di fedeltà a Putin, considerando che la Russia è uno dei principali partner commerciali della Bulgaria, oltre che principale fornitore energetico. In questo quadro Radev, che con l'instabilità politica del Paese si è erto a unico pilastro delle certezze amministrative bulgare, ha spesso e volentieri condannato i piani Ue di fornitura delle armi a Kiev, sottolineando il poco impegno di Bruxelles per mediare per la pace. «Un anno dopo l'inizio della guerra tra Russia e Ucraina, l'attenzione dovrebbe essere concentrata su come può essere sospesa e sugli sforzi per giungere a una soluzione pacifica – twittò tempo fa il presidente – Invece sentiamo grida di vittoria senza che nessuno definisca cosa sia la vittoria».

Valutazione complessa in un quadro europeo di macro politica. In un quadro amministrativo locale, invece, la risposta è molto più semplice: riuscire a formare un governo solido che ridia stabilità a uno dei Paesi più poveri d'Europa.

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