Arbore: «Aretha Franklin era la migliore, tutti volevano imitarla»

Arbore: «Aretha Franklin era la migliore, tutti volevano imitarla»
di Marco Molendini
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Venerdì 17 Agosto 2018, 01:14 - Ultimo aggiornamento: 18:41
Aretha è diventata Regina del soul in Italia grazie a Bandiera gialla, lo storico programma di Arbore e Boncompagni che cambiò radicalmente il linguaggio radiofonico e segnò profondamente il costume nazionale, facendo lievitare quella che venne battezzata generazione beat.

«Accadde questo – ricorda Renzo – c’eravamo stufati di mettere sempre dischi dei gruppi inglesi, le nostre scalette erano letteralmente dominate dai Beatles, Rolling Stones e succedanei. Da convinto filoamericano - almeno in fatto di musica - mi stupivo che gli Usa non reagissero alla British Invasion. La risposta arrivò e, come speravo, era nera: prima il funk di James Brown con I got you, poi la Motown, quindi altre etichette indipendenti come Stax e Atlantic con Aretha Franklin e la sua Respect, che fu subito un gran successo. Per giorni interi passammo le loro canzoni. A un certo punto la nostra hit parade aveva solo titoli di artisti neri».

Forza di quelle voci e di quel programma.
«A quel tempo c’eravamo solo noi. Eravamo gli unici autorizzati a trasmettere canzoni. Non c’erano ancora le radio private. Io mi ero abbonato alla Billboard Hot 100 e, ogni mese, mi arrivavano dall’America i dieci dischi più venduti: ricordo l’impatto travolgente di Reach out I’ll be there dei Four Tops, ma anche il ritmo dei brani dei Temptations. Era evidente che la musica stava cambiando in tutto il mondo e i neri d’America non avevano per nulla intenzione di restare a guardare».

Nel 1968, il soul sbarcò anche a Sanremo con Wilson Pickett.
«E partì l’ondata italiana con Fausto Leali, il negro bianco».

L’avete mai incontrata Aretha? Lei partecipò, come ospite, anche a un Cantagiro, quello del 1971.
«L’abbiamo incontrata alla Bussola di Viareggio, dove fece un concerto. Andammo Gianni, Raffaella Carrà e io. Ci fu modo anche di farci fare una foto, noi tre con lei».

Fu l’ultima volta che la Queen of soul venne in Italia e in Europa, preda della sua fobia per i viaggi aerei.
«Già, non ha mai più accettato di tornare. Però noi l’abbiamo riascoltata a New York, quando io e Boncompagni andammo un concerto, dove c’erano tutti i più grandi artisti della black music, invitati dalla Rifi, l’etichetta italiana che distribuiva i dischi Atlantic per cui incideva Aretha. Ricordo che da quel momento Gianni diventò un tifoso del rhythm’n’blues e non l’ha più abbandonato. Di quella serata, però, non abbiamo ricordi fotografici, a quel tempo non c’erano i telefonini».

Renzo, è d’accordo? La Franklin è stata la più grande voce di sempre.
«Non c’è niente da fare: in assoluto la più grande. È stata la regina, voce fantastica, gran senso del ritmo. Partita da Dinah Washington, ha costruito uno stile tutto suo, dove è presente in modo profondo la tradizione gospel. Del resto le grandi cantanti nere, anche Whitney Houston, vengono tutte da lì. Aretha è stata imitata da tutti». Anche da noi, in Italia. «Giorgia sicuramente è la più autorevole, per qualità vocale e per passione. Aretha è stata un suo modello assoluto. Ma ci sono ancora oggi cantanti soul nelle discoteche che usano quel repertorio».

A quel tempo si usava far cantare ai cantanti anche in italiano.
«Ricordo che la Rca, che aveva firmato un contratto di collaborazione con la Motown, a un certo punto, mi chiese di scegliere quattro canzoni da tradurre e far incidere nella nostra lingua: scelsi The way you do the things you do dei Temptations che divenne Sei solo tu, A place in the sun di Stevie Wonder fu tradotta in Il sole è di tutti, You can’t hurry delle Supremes in L’amore verrà. Piero Ricci che era il responsabile della linea internazionale della Rca partì per Detroit e le fece incidere agli artisti».

Ad Aretha non glielo chiese nessuno?
«Era troppo soul per cantare in italiano».
Le case discografiche, visto che eravate in grado di trasformare un pezzo immediatamente in un successo, non vi facevano pressioni?
«Ci corteggiavano furiosamente. Ma a quel tempo c’era anche tanta grande roba da ascoltare. E, comunque, nessuno ci poteva condizionare».
È stata davvero una stagione formidabile, ma di quella generazione soul non è rimasto più nessuno: se ne sono andati tutti abbastanza presto.
«E Aretha è stata l’ultima».
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