Cristianesimo in declino, ormai in Europa è in minoranza

Cristianesimo in declino, ormai in Europa è in minoranza
di Franca Giansoldati
3 Minuti di Lettura
Domenica 25 Marzo 2018, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 10:17
CITTÀ DEL VATICANO Cristo pare proprio che stia lasciando l’Europa. Anno dopo anno gli studi statistici sulla religiosità degli europei mostrano indicatori inequivocabili. Il processo in atto da qualche decennio, implacabile e irreversibile, non riguarda tanto il sentimento religioso della gente, la minore partecipazione ai riti o il crollo delle vocazioni. In fondo è qualcosa di ben più importante per la prospettiva comune. «Il fatto è che il cristianesimo è vicino al default» sintetizza Stephen Bullivant, professore di sociologia alla università Saint Mary di Londra. 
Naturalmente non è l’unico studioso che ha fatto ricerche in questa direzione. Già dieci anni fa la Fondazione Adenauer pubblicava un libro intitolato, senza troppi fronzoli, «Società senza Dio: rischi ed effetti collaterali della scristianizzazione in Germania» in cui si denunciava una caduta che avrebbe portato ad una «implosione di dimensioni epocali».

IL SORPASSO
Tutto da vedere naturalmente, in ogni caso il cristianesimo europeo risulta in fase calante, come una bassa marea che trascina tutto al suo ritiro e che probabilmente finirà per investire il senso di appartenenza comune alla civiltà cristiana. In questi giorni il giornale britannico The Guardian ha dimostrato, dati alla mano, di come il cristianesimo sia prossimo al punto di non ritorno, il default, la perdita della sua posizione storica prendendo in esame il numero complessivo di coloro che non credono in nessuna religione rispetto di coloro che si professano credenti. 
Il quotidiano inglese ha pubblicato risultati a dir poco sconcertanti. Il numero dei cristiani nella maggior parte dei Paesi europei è stato superato da chi si professa non credente o ateo. L’orizzonte comune delinea la comparsa di una Europa post cristiana: basta vedere gli orientamenti religiosi delle nuove generazioni. La maggior parte dei millennial sfiorano l’ateismo. Qualche esempio. Nella Repubblica Ceca il 91% dei ragazzi dai 16 ai 29 anni hanno dichiarato di non avere nessuna fede. Percentuali altissime anche per l’Estonia, la Svezia, l’Olanda, la Gran Bretagna, l’Ungheria, la Finlandia, la Norvegia. Persino nella cattolicissima Spagna coloro che dichiarano di non seguire nessun credo superano i cristiani (55% contro il 40%). La prospettiva si inverte solo a cominciare dal Portogallo dove i non credenti sono inferiori ai cristiani (42% contro il 57%)

In Italia le cose naturalmente sembrano meno drammatiche, anche se l’andamento costante della scristianizzazione ha inevitabilmente intaccato il grande serbatoio di consensi spirituali. In questi anni diversi studi hanno approfondito l’argomento in vista del Sinodo sui giovani convocato da Papa Francesco in autunno. La Fondazione Toniolo, per esempio, ha evidenziato la difficoltà della trasmissione della fede alle nuove generazioni. Mentre uno dei più noti sociologi italiani, Franco Garelli, ha affrontato il tema in un saggio intitolato “Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?” (Il Mulino, 200 pagine, 18 euro) per dimostrare che la realtà religiosa giovanile è più complessa di quanto si possa immaginare.

FUTURO
Anche se tra i ragazzi italiani aumentano a dismisura i non credenti, i giovani mantengono ancora un legame con il cattolicesimo che li ha educati. L’Eurispes aiuta a capire meglio questo scivolamento. La quota dei praticanti (25,4%) si è quasi dimezzata rispetto ai non praticanti (45,7%). La riduzione sembra irreversibile: i praticanti sono passati dal 33,1% al 25,4%. In parallelo è aumentato il numero di chi non è cattolico, dal 19,9% al 21,4%, rappresentato soprattutto dai giovanissimi (28,8%). A questo si aggiunge che solo un cattolico su cinque (20,5%) partecipa ancora alla messa la domenica, in leggero calo rispetto al 1991 (24,4%). 

La Cei non ha un quadro preciso del fenomeno e nemmeno in Vaticano, difficile quindi definire con precisione il calo dei battesimi in base ai bambini che nascono. Due anni fa ci aveva provato Aleteia, una agenzia cattolica, che aveva contattato la curia di Milano e quella di Roma arrivando alla conclusione che il calo più marcato riguardava il capoluogo lombardo. Nel 2016 a Roma c’erano stati 23 mila battesimi (ma nel 2008 erano stati 33 mila). Una tenuta che comincia a scricchiolare e che non può che far correre ai ripari la Chiesa di Papa Francesco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA