Mossa anti-Zingaretti, crepe nelle opposizioni

Mossa anti-Zingaretti, crepe nelle opposizioni
di Simone Canettieri
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Venerdì 16 Marzo 2018, 00:35 - Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 10:23

I distinguo arrivano puntuali e fanno il paio con certi silenzi densi di dubbi. Il piano per far cadere subito la giunta regionale del Lazio di Nicola Zingaretti - come rivelato da Il Messaggero - spacca le opposizioni. Tra calcolo politico, sempre eterno «tengo famiglia» e dinamiche nazionali che si intrecciano. E questo groviglio di opportunismo ed eterogenesi dei fini fa tirare un sospiro di sollievo al governatore. Il quale prova ad andare avanti nonostante il gap: l’assenza della maggioranza in consiglio regionale. 

Non a caso, in una giornata convulsa, appena uscito dall’incontro in Campidoglio con la sindaca Virginia Raggi, il presidente annusata l’aria spiega: «Non ho il timore di andare a casa, la settimana prossima convocherò le opposizioni e proporrò loro un percorso programmatico. Vedremo». Già, le opposizioni. Sulla carta hanno una pistola carica sul tavolo per ritornare al voto subito ma al momento litigano sul «come» e soprattutto sul «quando». Stefano Parisi, candidato del centrodestra e capo di una pattuglia di 15 consiglieri divisi in 5 gruppi politici, prova a tenere a bada i suoi. E dice: «Nessuna dimissione in blocco, non si fa così politica: andremo prima in Aula per cercare di capire le linee di Zingaretti».

Quindi lo salva? «No, siamo pronti a votargli la sfiducia già dal bilancio, il primo atto che dovrà approvare, se non rispetterà anche le nostre impostazioni. Di sicuro non mi faccio trascinare da Sergio Pirozzi, il miglior alleato di Zingaretti». Il sindaco di Amatrice, invece, conferma l’intenzione di volersi dimettere - ma solo se lo faranno gli altri 25 colleghi di minoranza - «perché io, al contrario degli altri, non voglio accordi sotto banco con il Pd, non cerco poltrone». Pirozzi spiega un’altra dinamica che va a impattare nel centrodestra: «Matteo Salvini è con me e ne parlerà anche a Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Raffaele Fitto».

LA STRATEGIA
Il leader della Lega gioca su due tavoli: in Regione e soprattutto in Parlamento. Con la linea intransigente del «mai accordi con il Pd» punta in un colpo solo a stanare Forza Italia e anche il M5S. Si scrive giunta Zingaretti, si legge Palazzo Chigi. E viceversa. Piccolo particolare: Salvini conta anche 4 consiglieri regionali eletti, un record nel Lazio, che secondo lui dovrebbero immolarsi per la causa. Da Forza Italia non arrivano reazioni. Da Fratelli d’Italia si dicono pronti a far cadere la Regione Lazio, ma ovviamente con calma, in aula e «se lo faranno tutti». 
Poi c’è Roberta Lombardi, capogruppo del M5S che sta cercando in tutti i modi di far partire la XVIII legislatura. La grillina dice «no» al metodo Marino, cioè quello delle dimissioni dal notaio. E, dopo consulto con Luigi Di Maio, si mette in scia con la sindaca Raggi sulle «convergenze amministrative» invocate dalla sindaca e da Zingaretti. Vince l’alta strategia.

Lombardi spiega: «Il voto dei cittadini del Lazio va rispettato: la sfiducia verso un presidente debba avvenire, sempre, all’interno di una cornice democratica, dunque nel quadro di un dibattito trasparente nell’aula consiliare». Per riassumere: Pirozzi se la prende con Parisi e Lombardi «stampelle» di Zingaretti, Parisi contraccambia e accusa Lombardi di subire l’accordo nazionale M5S-Pd officiato da Raggi. E intanto il governatore prova ad andar avanti. La sfiducia per lui sembra la «rivoluzione» cantata da Giorgio Gaber: «Oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente».

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