Perde la voce il giorno del terremoto di Amatrice, la ritrova due anni dopo grazie al compito in classe

Perde la voce il giorno del terremoto di Amatrice, la ritrova due anni dopo grazie al compito in classe
di Mario Bergamini e Italo Carmignani
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Lunedì 20 Agosto 2018, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 21 Agosto, 18:26
RIETI Serena ha quindici anni, il cuore grande e gentile di sua nonna. Per un anno, tre mesi e due giorni è rimasta impenetrabile, chiusa nel suo mondo. Come accade nelle fiabe, ora il suo guscio si è aperto. Un piccolo miracolo arrivato attraverso la stesura di un tema, grazie al quale è tornata a parlare.
Il suo silenzio durava dalla notte del 24 agosto 2016 in cui la terra inghiottì 298 persone nel delirio misurato con i gradi dalla scala Mercalli. Anche lei avrebbe voluto morire. Ma tra le alture di Amatrice, il dolore e il destino si limitarono a soffocarle la voce. Per molte lune da quella notte imbalsamata dalla storia, Serena D’Amico sottrasse ogni parola alla sua giornata e alla sua vita di quindicenne.
Finché non ha ripreso a relazionarsi con il mondo, dedicando il suo ritorno proprio a quella notte, curata più dalla ricetta che dalla medicina, medicata da un foglio di carta e dalle sue frasi scritte sopra, che la sintesi scolastica chiama compito in classe.

LA RAGIONE DEL SILENZIO
Pochi speravano potesse guarire. Tra questi, la sua professoressa, Maria Flavia Perotti. Insegna italiano, storia e geografia al Classico Varrone di Rieti. E ora racconta: «Succedeva sempre nell’ora di geografia. Tra gli argomenti c’era anche il tema del terremoto: quando intuiva che potessi parlare dell’argomento, Serena si alzava e senza dire nulla usciva dalla classe. Non ho mai provato a fermarla».
Il silenzio di Serena aveva una ragione. Lo racconta, affidandosi alla penna, nel compito in classe del 6 dicembre 2017 dal titolo “Inventa un racconto a piacere”, quando la ragazza decide che la quarantena è finita e il dolore poteva uscire dal vaso in cui l’aveva compresso: «…mia nonna, la persona più importante al mondo».
Sotto il peso mortale delle macerie di una palazzina a tre piani era rimasta anche lei, anziana, ma vigorosa, sempre pronta a regalare un sorriso e belle parole, come solo le nonne sanno fare, soprattutto da quando i genitori di Serena si erano separati e lei, come ogni estate, aveva ospitato sua nipote.

IL GIORNO CHE RICORDERÒ
Come in un piccolo testamento del dolore passato, il tema racconta quella notte con la prosa più adulta della sua età: «Il 24 agosto è un giorno che ricorderò per il resto della vita. A volte un oggetto che ho davanti, o magari una persona, mi riportano a quel giorno». Scrivere funziona da viatico e le parole, le virgole, i ricordi fanno uscire il demone. Ancora la sua insegnante: «Dopo quel tema Serena si è sbloccata prendendo parte alle lezioni. Ha iniziato a raccontare della sua vita ad Amatrice, di com’era prima del terremoto e così via. Il tema ha segnato una sorta di rinascita alla vita per la ragazza».

L’acme del racconto di Serena sale quando il ricordo ferma le lancette alle tre notte: «Rientrai attorno alle 23.45. Ero contenta davvero: mi stavo preparando i vestiti per il giorno dopo, quando ci sarebbe stata la fiera del paese. Mi addormentai con il sorriso e poi successe tutto troppo velocemente. Venni svegliata da un forte movimento sussultorio che mi sovrastava, accompagnato da un rumore assordante, come se un mostro mi stesse urlando nelle orecchie. Ero rimasta immobile, paralizzata. Non sapevo cosa fare, vidi solo le figure di mio fratello e mia madre che mi strattonavano, cercando di portarmi fuori casa. Le persone intorno a me urlavano e piangevano. Il mio volto era impassibile: sembravo un fantasma, il cuore ancora a mille. Salimmo in macchina per andare al centro del paese ed è lì che il mondo mi crollò addosso».
Contrariamente a tanti ragazzi arrivati fin lassù per le vacanze, Serena riuscì a salvarsi. Il destino della scossa, durata appena sei secondi, sarà più duro con sua nonna.
Ancora dal tema di Serena: «Il palazzo di mia nonna di tre piani era diventato un cumulo di macerie di due metri. Non ci credevo, non volevo crederci e tutt’ora non ci credo. Se la sera prima avessi saputo che l’avrei abbracciata per l’ultima volta, giuro che l’avrei stretta più forte e sarei rimasta con lei». 

IL SACRIFICIO
La virtù degli uomini si ferma sempre davanti all’imponderabile. E la piccola Serena ha offerto il suo silenzio come sacrificio al dolore fino a quando non è riuscita a nominare le cose. Perciò le lasciamo il finale: «È una persona forte che si è sempre sacrificata per il bene della famiglia: per me è una seconda mamma. Utilizzo i tempi al presente perché lei non merita di essere ricordata al passato. Io non accetterò mai che se ne sia andata così, senza salutare. Ne parlo ogni giorno e ho la certezza che lei è con me sempre, anche adesso che sto scrivendo questo».
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