Omicidio Vannini, la disperazione della mamma: «Quale giustizia, me l’hanno ucciso ancora»

Omicidio Vannini, la disperazione della mamma: «Quale giustizia, me l’hanno ucciso ancora»
di Alessia Marani
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Giovedì 19 Aprile 2018, 00:05
«Assassini! Vergogna! E quella famiglia maledetta, sì maledetti. Ora lo dico. Me l’hanno ucciso due volte, anzi tre: la prima con il colpo di pistola, poi nella vasca dove lo hanno torturato e oggi perché Marco non ha avuto giustizia». Crolla mamma Marina Conte alla lettura della sentenza per la morte del figlio Marco Vannini, ventenne, ucciso in casa della fidanzata, a Ladispoli, il 17 maggio di tre anni fa. Ieri mattina era apparsa serena in tribunale, ha indossato la maglietta con su scritto “Giustizia per Marco” convinta che almeno la legge avrebbe lenito l’inguaribile ferita. Poi, le parole del giudice che l’hanno scossa peggio di un terremoto.

Marina, ha atteso per tre lunghi anni questo momento, eppure...
«È un gran brutto giorno. Mio figlio è in un fornetto al cimitero, loro se ne stanno a spasso e staranno pure festeggiando. Non ci posso pensare, e Viola è stata addirittura assolta. Non ce la faccio più, devo gridare, urlare e chissà quante altre mamme come me non hanno avuto giustizia. Non si può sopportare».

È arrabbiata?
«Tantissimo. Ho confidato nella giustizia fino all’ultimo, ho pregato, ho cercato di non perdere mai la dignità. Mio marito e io non abbiamo mai infierito contro nessuno, invece per me oggi la giustizia ha fallito. Mio figlio mi manca da impazzire, manca a tutta la famiglia. Hanno rovinato tutta la mia famiglia».

Antonio Ciontoli è stato comunque condannato a 14 anni. Non basta? 
«Macchè 14 anni, è una persona che ha omesso i soccorsi, che ha lasciato che Marco morisse, non so nemmeno se si farà un giorno in galera. Gli hanno riconosciuto le attenuanti. Ma quali attenuanti... E allora le aggravanti? I futili motivi, la crudeltà, il fatto che più perizie hanno affermato che Marco se soccorso in tempo avrebbe avuto altissime probabilità di salvarsi, tutto questo non conta niente? Quegli altri poi, una condanna ad appena tre anni mentre mio figlio è morto. Mio figlio gridava come un disgraziato, si sentiva dalla telefonata al 118 e quelli erano tutti là». 

Che succederà ora?
«L’unica speranza è che il pm si appelli contro la sentenza, perché noi non abbiamo nemmeno questa possibilità. Gli avvocati dei Ciontoli hanno detto che loro sono poverini, che non possono più vivere. E la vita mia? E quella di mio marito?».

Che cosa le brucia di più?
«Che ho cresciuto un figlio con sani principi, educandolo al rispetto e alla fiducia negli altri e che compenso ho ricevuto io? Un figlio dentro una bara. Speravo che con la sentenza sarei potuta tornare a dare messaggi positivi e di speranza ai giovani di oggi, invece ora ho solo voglia di tornare a casa, prendere la scheda elettorale e riconsegnarla a questo Stato, perché non mi sento più una cittadina italiana».
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