Viaggi, l'epidemiologo Lopalco: «Regioni a rischio, prima di spostarsi operazione verità sui numeri»

Viaggi, l'epidemiologo Lopalco: «Regioni a rischio, prima di spostarsi operazione verità sui numeri»
di Lucilla Vazza
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Martedì 26 Maggio 2020, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 08:54

Professor Lopalco quando avremo l'effetto (se ci sarà) di questi assembramenti della movida, razionalmente cosa dobbiamo aspettarci?
«Bisogna ragionare in termini statistici sull'intensità della circolazione del virus nelle varie zone. Tra cento ragazzi che fanno l'aperitivo in una zona dove la diffusione virale è bassa, come la Sardegna, è più improbabile che ci sia un portatore asintomatico, diverso ai Navigli di Milano, dove questa probabilità è decisamente più alta. Se le catene di trasmissioni partono tra i giovani sono subdole perché l'infezione è generalmente poco sintomatica, quindi sarà palese quando ci saranno dei casi sintomatici evidenti, magari tra le persone più adulte. Ci vorranno almeno due-tre periodi di incubazione, dunque non prima di un mese».

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Le immagini degli assembramenti stanno facendo ipotizzare nuove chiusure, avrebbe senso?
«Ragionare di aperture e chiusure sulla base di dati giorno per giorno è molto complicato. Una volta che si è deciso di superare il lockdown, di far ripartire le attività, è difficile tornare indietro. In questo momento basterebbe un po' di buon senso e anche insistere con campagne di informazione. Si può uscire, ma vanno evitate le esagerazioni. Ci possono essere dei nuovi casi, ma ora siamo in grado di riconoscerli e di gestirli per tempo. Questo non significa fare assembramenti di migliaia di persone, essere superficiali».
È stato corretto comunicare al grande pubblico dati molto tecnici sulla pandemia?
«Dal primo giorno ho detto che il bollettino giornaliero delle 18 era un errore clamoroso. Un'epidemia del genere non si può valutare su numeri che in ogni contesto hanno un senso differente. Per poter decidere se la situazione è tranquilla o preoccupante bisogna sapere quei numeri a cosa si riferiscono: a focolai già noti o a nuovi controlli, o se sono casi sporadici di cui non si riesce a ricostruire la catena di contagio. Oggi comunicare l'Rt è dare un numero che da solo non significa nulla in termini di valutazione del rischio sul territorio, che invece va fatta con un'attività di intelligence attraverso parametri che dicono se siamo al sicuro».
L'Iss ha spiegato in ogni modo che il report settimanale non è una pagella delle regioni...
«Certo, ma tutti abbiamo letto titoli assurdi tipo Molise e Umbria peggio della Lombardia e cose del genere. Ci sono fraintendimenti perché non tutto è bianco o nero, ma c'è una scala di grigio, invece prevale una comunicazione primitiva alimentata da classifiche e pagelle a chi è buono e cattivo». 
Ora sulla graticola ci siete anche voi esperti. Fra tante commissioni forse serviva una task force comunicativa? 
«Quella era la prima cosa da fare perché c'è chi non ha gli strumenti culturali per capire la complessità della situazione». 
Il 3 giugno si avvicina, crede che si riuscirà ad aprire alla mobilità tra tutte le Regioni?
«Quando vedo i numeri della Lombardia sono preoccupato. Piuttosto che parlare di Rt, la Lombardia facesse parlare un esperto per dire: la situazione è questa, le catene di contagio sono queste. Un'operazione verità, far parlare i numeri e farli dire a un tecnico, non ai politici. La Lombardia non ha mai chiuso, a questo punto si tratta di dire se un cittadino lombardo può andare in giro per l'Italia senza alcun tipo di controllo anche in regioni che hanno una bassa incidenza. Per poter dire questo con tranquillità, dovrebbero raccontarci i dati. Della Puglia vi posso raccontare ogni cosa, perché conosco tutti i numeri con luci e ombre». 
E non bastano i famosi 21 indicatori del Ministero trasmessi dalle Regioni?
«Sono buoni indicatori, combinandoli alla fine ci possiamo fare un quadro della situazione. Però tornando alla Lombardia, manca un certo livello di dettaglio che sarebbe bene venisse mostrato per dire che hanno il polso della situazione. Se hanno il polso della situazione, mi sentirei più tranquillo. Oggi non sappiamo lo stato dei positivi non rilevati, che possono uscire andare in giro, e vale per tutte le Regioni. Per questo se in Lombardia ci fossero numeri più chiari, staremmo tutti più sereni».

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