«Te lo dice un calabrese: la nostra è praticamente una missione»: ci risponde così Giuseppe Scappatura, tecnico di radiologia del Grande Ospedale Metropolitano (Gom) "Bianchi Melacrino Morelli" di Reggio Calabria. Lui è diventato notissimo in tutta Italia in queste ultime ore per una foto che lo ritrae mentre - teneramente - fa forza a una bimba ricoverata per una presunta cisti e che, al momento dell'esame, era preoccupata per il senso di claustrofobia.
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In questo caso non si trattava di Covid. La foto è stata "rubata", come ci confida scherzando: una foto da cui emerge l'umanità e l'abnegazione dei medici di tutti i reparti, e in particolare di quelli che stanno fronteggiando la pandemia. Sì perché Scappatura, in radiologia, spesso il virus lo guarda in faccia.
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È anche in radiologia, infatti, che passano i pazienti colpiti dall'infezione che necessitano di ricovero: quando - purtroppo - il coronavirus colpisce i polmoni.
Dottor Scappatura, principalmente di cosa si occupa?
«Io sono tecnico sanitario di radiologia e dal 2020 mi occupo anche dell'emergenza Covid per la radiologia.
Cosa prova quando si trova a contatto con i pazienti?
«Mi si riempie il cuore: è il caso della risonanza magnetica. Il nostro lavoro è praticamente una missione: siamo noi in primo piano, a livello di emozioni: risonanza, tac, radiografia. Non conta: è l'aspetto umano che bisogna privilegiare con i pazienti. Specialmente quando sono preoccupati».
E la bimba in questo caso lo era?
«Era fortemente claustrofobica ma è stata tranquilla e ha collaborato. Era un esame lungo, di una ventina di minuti, e a volte ci sono persone che dobbiamo tranquillizzare. Specie quando c'è il rumore della risonanza magnetica».
Crede che la tecnica possa aiutare, o a volte è un ostacolo per la comunicazione?
«A livello di intelligenza artificiale, è molto utile a livello diagnostico. È un'utilità per il medico, ma il paziente ha bisogno di empatizzare».
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Con quella bambina vi siete detti qualcosa?
«Cosa le potevo dire? Con il rumore della risonanza era difficile: ma stringerle la mano è stato importante perché è un gesto che infonde sicurezza e tranquillità, nonostante le precauzioni per contenere il coronavirus».
E si occupa principalmente di pazienti pediatrici?
«No, ma qui passano persone di qualsiasi età: con il Covid ci sono più che altro pazienti over 50. Io non opero in terapia intensiva ma qui (al Gom ndr.) abbiamo una struttura Covid per Tac e Radiologia. La Tac del torace e la Radiologia è legata al pronto soccorso Covid, e poi il radiologo decide se il paziente viene ricoverato».
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Le capita di fare qualche ora di straordinario?
«Sa quante ore ho in più fuori turno? Tantissime: la gente a volte ti ringrazia, ma quello è il mio dovere. A volte si stupiscono, ma io non lo capisco. Vorrei solo lanciare un appello ai medici: aiutiamo le persone. Il nostro lavoro è una missione».