Ricominciare da dove il percorso si era interrotto quattro anni fa. Dalle intese che Veneto e Lombardia avevano già raggiunto con il governo, per poi essere bloccate dalle proteste delle Regioni meridionali e a causa dei pesanti impatti che il progetto delineato in quei documenti avrebbe avuto sulla Capitale. La nuova bozza di legge sull’Autonomia “resuscita” in qualche modo quei vecchi accordi, che ora riemergono come “zombie” nel progetto a tappe serrate che planerà sul tavolo del Consiglio dei ministri nelle prossime settimane. «Le disposizioni della presente legge», spiega l’articolo 11 della nuova bozza sulle autonomie, «si applicano in relazione ai rispettivi livelli di avanzamento formalizzato, anche agli atti di iniziativa delle Regioni presentati al governo e concordati con il medesimo prima della entrata in vigore della presente legge». I vecchi accordi, appunto. Allora forse val la pena rileggere oggi alcuni passaggi di quelle intese contrattate in maniera strettamente riservata tra il ministero degli Affari Regionali e le Regioni “autonomiste” nel 2019 e rivelate per la prima volta proprio dal Messaggero. Come per esempio l’articolo 4 della vecchia intesa del Veneto, quello che potrebbe essere definito come il “comma svuota-Roma”. «Il trasferimento dei beni e delle risorse comporta», si leggeva in quel testo, «la contestuale soppressione o il ridimensionamento, in rapporto a eventuali compiti residui, dell’amministrazione statale periferica». Non solo. «Sono altresì ridimensionate in rapporto ai compiti residui», spiegava ancora, «le amministrazioni centrali in proporzione alle funzioni trasferite». Tradotto: se trasferisco a Veneto e Lombardia la gestione di 200 mila insegnanti, dovrò tagliare il ministero dell’Istruzione che dovrà gestire il 20 per cento in meno di professori.
Il punto però è anche un altro.
I PASSAGGI
E allora, ancora una volta, val la pena guardare cosa c’è scritto negli “accordi-zombie”. Per esempio, sempre nel caso del Veneto, che le risorse assegnate non possono essere «inferiori al valore medio nazionale pro-capite della spesa per l’esercizio delle stesse». Prendiamo la funzione istruzione. Secondo i dati presentati dalla Sose in un’audizione in Parlamento sul federalismo, la spesa storica pro-capite in Veneto è di 69 euro circa, quella media nazionale pro-capite di 78 euro. Se il criterio fosse questo, il Veneto otterrebbe 10 euro in più per abitante rispetto a quanto storicamente speso nel territorio. Ma c’è di più. Sempre la vecchia intesa prevedeva chiaramente che «l’eventuale variazione di gettito maturato nel territorio della Regione» sarebbe stato «di competenza della Regione» stessa. È la vecchia battaglia nordista del residuo fiscale. L’unico debole scudo posto dalla nuova legge sull’Autonomia, è una verifica annuale sui profili finanziari dell’intesa. Ma si tratta di una verifica ancora una volta assegnata alla Commissione paritetica e non, per esempio, al ministero dell’Economia. Infine, c’è un altro nodo che non sembra sciolto. Se in futuro lo Stato dovesse trovarsi in difficoltà e decidere una manovra con tagli e spending review su materie trasferite come la Sanità o l’istruzione, le Regioni che hanno ottenuto autonomia parteciperebbero? L’articolo 8 della nuova bozza di legge prevede che «le disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle leggi di approvazione di intese, osservano le competenze legislative e l’assegnazione delle funzioni amministrative e le ulteriori disposizioni contenute nelle intese». Il dubbio, insomma, resta.