dal nostro inviato RIMINI
«Da noi spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi, perché cercando dal produttore l'acquisto a basso costo comprano qualità». In Italia «l'educazione alimentare è interclassista». Ne è convinto Francesco Lollobrigida, ministro dell'Agricoltura di Fratelli d'Italia. Intervenuto ieri al Meeting di Rimini a una tavola rotonda sulla sicurezza alimentare, il ministro ha parlato della candidatura della cucina italiana a patrimonio dell'Unesco scegliendo la cucina americana come termine di paragone. Negli Usa, dice Lollobrigida, «c'è una divaricazione sociale tra chi mangia bene, come noi, e sta nel nostro stesso stato fisico, e le classi meno agiate, che vengono rimpinzate attraverso elementi condizionanti» e dunque «vanno verso l'interesse di chi deve vendere e non dell'utente finale».
LE REAZIONI
Una tendenza che secondo il ministro si cela dietro i crescenti «casi di obesità» negli States. «Difendere il buon cibo, difendere la qualità è anche una questione di civiltà e di rispetto di un modello di sviluppo che mette le persone tutte sullo stesso piano e non si lascia condizionare esclusivamente dal loro potere d'acquisto», ha aggiunto il dirigente di FdI.
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«Per il ministro Lollobrigida spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi. Ecco perché hanno tolto il reddito di cittadinanza», è l'affondo del deputato Pd ed ex ministro del Lavoro Andrea Orlando. «Dire che da noi i poveri molto spesso mangiano meglio dei ricchi è semplicemente uno schiaffo a tutte quelle persone oggi in drammatica difficoltà», rincara da M5S Alessandro Caramiello, capogruppo in Commissione Agricoltura. Mentre dalla maggioranza fanno scudo intorno al ministro e difendono la «natura interclassista» della tavola italiana. Dice Tommaso Foti, capogruppo di FdI a Montecitorio: «In Italia spesso spendere meno significa ricercare prodotti, accorciando le filiere e rivolgendosi ai produttori che ne realizzano mediamente di ottima qualità». Spendere di più, sostiene Foti, «spesso significa ricercare prodotti sofisticati, gravati da costi di trasformazione e promozione, che ne aumentano il prezzo, ma non i benefici per la salute».