Napolitano, Luciano Violante: «Riuscì a fare da arbitro tra i conflitti del Paese. Rispetto anche da destra»

L’ex presidente della Camera: «Ci univa il tema delle riforme e della giustizia. I funerali bagno di verità. La sua lezione: al vertice dello Stato serve un mediatore»

Violante: «Riuscì a fare da arbitro tra i conflitti del Paese. Rispetto anche da destra»
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Mercoledì 27 Settembre 2023, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 08:23

Presidente Violante, che cosa ha significato secondo lei, politicamente, il funerale di Napolitano?
«È stato il funerale giusto, adeguato alla sua personalità. La presenza degli ospiti stranieri e una cerimonia non rituale ma concreta come sarebbe piaciuta a lui. Il figlio Giulio ha fatto un cenno anche alle cose meno positive della sua storia che del resto, in una vicenda politica lunga come è stata quella di Napolitano, possono starci. Mi è piaciuto molto questo discorso». 

Come le è parso l’atteggiamento del centrodestra in queste esequie? 
«Mi sembra che in generale il comportamento sia stato civile e rispettoso.

Il discorso di Ignazio La Russa mi è sembrato buono, pur nella inevitabile differenza tra le loro culture politiche».

Lei, che ne è assolutamente titolato da ex compagno di partito e da ex presidente della Camera, perché in questi giorni non ha voluto parlare di Napolitano?
«Non avevo cose originali da dire e hanno parlato persone più autorevoli di me. Adesso parlo perché il funerale è stato un fatto politico importante. Secondo me segna una svolta». 

In quale senso, dal suo punto di vista? 
«È stato il primo funerale laico celebrato alla Camera. Con una partecipazione straordinaria. Senza menzogne e senza retoriche. Si è sfuggiti alla logica della mitizzazione». 

Tutti a dire: Napolitano era severo, puntiglioso fino alle virgole. Anche a lei, come ad altri, mandava biglietti pieni di critiche? 
«Ne ho parecchi, come del resto ne hanno tanti altri colleghi. Ma devo dire: più biglietti di assenso che di dissenso». 

Lei però non è mai stato un migliorista, non aderiva alla corrente di Napolitano, di Gerardo Chiaromonte, di Emanuele Macaluso. 
«Certo, mai. Ero vicino a Enrico Berlinguer. Un rapporto di amicizia vera e profonda si è costruito tra me e Napolitano quando lui è diventato Presidente della Repubblica. A unirci era il tema delle riforme e del rapporto tra politica e giustizia». 

 

Eravate entrambi diventati garantisti? 
«È un termine sbagliato questo. Abbiamo visto lo squilibrio dei poteri e sentivamo il bisogno di tornare a un’armonia costituzionale tra politica e giustizia. Ma in generale c’è un punto importante da sottolineare». 

Lo faccia. 
«Le attuali società sono molto polarizzate, pensiamo agli Stati Uniti e alla Francia. Si tratta di Paesi che non hanno al loro vertice i mediatori della crisi. Perché il capo è il capo di una fazione. La Spagna è il contrario: avendo un re che è il mediatore della crisi quel Paese sta uscendo da una situazione assai complicata». 

E che cosa c’entra Napolitano? 
«Nella nostra Prima Repubblica erano i partiti a fare da mediatori dei conflitti sociali e politici. La crisi dei partiti ha portato al Quirinale il tema della mediazione dei conflitti. Napolitano si è trovato in quella situazione. Si è caricato di questa funzione di arbitro risolutore del conflitto. Nelle celebrazioni alla Camera, anche se non si è fatto esplicito riferimento, si è riconosciuta la preziosa azione di Napolitano rispetto a questo rilevantissimo problema». 

È stato dunque una svolta questo funerale? 
«Sì, ed è stato un bagno di verità». 

La lezione di Napolitano che cosa può consigliare agli attuali governanti? 
«Può insegnare, appunto, la necessità di avere un arbitro nel conflitto. Se non c’è l’arbitro, c’è il caos. Le riforme vanno fatte. Ma occorre stare ben attenti a questo aspetto. Non creare più problemi di quelli che si vogliono risolvere». 

È sembrato, seguendo le esequie nell’aula di Montecitorio, che la sinistra rimpiangesse Napolitano anche perché incapace di imitarlo professionalmente. È un’impressione corretta, secondo lei?
«La questione la porrei in questi termini: la generazione di Napolitano, e quella immediatamente successiva che è la mia, era stata educata alla politica come professione e non come carriera. Ho l’impressione che a volte, in tutti i partiti, i termini appaiano rovesciati. Se manca la continuità del partito politico, è difficile costruire la professionalità ed è inevitabile la caccia la consenso immediato, puro e semplice».

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