BRUXELLES - Nelle urne di domenica, Ungheria e Serbia hanno riconfermato al potere (e con una valanga di voti) gli ultimi due sodali europei di Vladimir Putin: Viktor Orbán e Aleksandr Vučić. Due leader di lungo corso accomunati dalle tendenze autoritarie.
In Ungheria
A Budapest l’ultraconservatore Orbán fa poker e si assicura altri quattro anni da premier dell’Ungheria con la maggioranza assoluta dei voti e due terzi del Parlamento dalla sua, nonostante l’opposizione corresse unita dietro un candidato comune, Peter Márki-Zay, che si è fermato al 35% delle preferenze e ha accusato il sistema corrotto e la propaganda governativa per la magra performance.
«Ci ricorderemo di questa vittoria perché avveravamo molti oppositori»: non solo i «burocrati di Bruxelles», ma anche «il presidente ucraino», ha scandito Orbán. Il ricordo dei carri armati sovietici a Budapest nel 1956 è sbiadito: nei giorni scorsi l’Ungheria aveva messo in chiaro che non intende dare l’ok a un embargo Ue sulle forniture di energia (gas, petrolio e carbone) in arrivo da Mosca, di fatto stoppando un nuovo pacchetto di sanzioni europee per cui serve l’unanimità. Non è passata inosservata, del resto, poco prima dell’invasione dell’Ucraina, la visita di Orbán al Cremlino per assicurarsi nuovi volumi di gas a buon prezzo di fronte al caro-bollette in tutta Europa. «Non sosterremo misure che mettano a rischio la sicurezza energetica dell’Ungheria», aveva messo a verbale il ministro degli Esteri magiaro, che nelle prossime ore dovrà fare i conti con il crescente pressing di molti Paesi Ue - a cominciare dalla Polonia, finora solida alleata di Budapest - dopo le terribili immagini del massacro di civili a Bucha.
In Serbia
Discorso solo in parte diverso per Vučić: alla guida della Serbia dal 2012, ha corso senza credibili avversari, incassando un successo che sfiora il 60% dei consensi. Belgrado, a differenza di Budapest, non è membro dell’Ue ma solo candidata all’adesione (un processo in forte difficoltà visto l’irrisolta questione regionale con il mancato riconoscimento del Kosovo): in virtù di ciò è riuscita a sottrarsi del tutto alla partecipazione alle sanzioni occidentali imposte contro la Russia, a cui si sono uniformati invece altri Paesi dei Balcani. Anzi, la Serbia ha pure dato una mano al Cremlino, mantenendo i collegamenti aerei giornalieri Belgrado-Mosca mentre tutto il resto d’Europa aveva chiuso il suo spazio aereo alla Russia. Insieme a Paesi ben più influenti sullo scacchiere globale - dalla Cina all’India, passando per il Pakistan -, cementa il nuovo asse che approfitta della ritirata europea per fare affari sempre più convenienti con Mosca.