L’Isis indebolita/Il terrorismo “povero” mette a rischio l’Italia

di Alessandro Orsini
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Venerdì 27 Aprile 2018, 00:05
Un richiedente asilo del Gambia è stato arrestato con l’accusa di volersi lanciare con un’auto contro la folla in nome dell’Isis. 
Il timore che un rifugiato politico realizzi un attentato in Italia (è stato arrestato a Pozzuoli) è cresciuto negli ultimi mesi per due ragioni principali. La prima ragione ha a che vedere con la caratteristica generale che il terrorismo dell’Isis ha assunto con la caduta progressiva delle sue roccaforti in Siria e in Iraq. Si tratta del passaggio dal terrorismo ricco al terrorismo povero. Il primo, basato su militanti addestrati, era diretto dai capi dell’Isis, che potevano contare su pozzi di petrolio e campi di addestramento. L’esempio è la strage di Parigi del 13 novembre 2015, complessa e costosa. Il secondo tipo di terrorismo è affidato, per lo più, a richiedenti asilo e immigrati, che colpiscono dove possono. Il terrorismo ricco era strategico: i capi dell’Isis colpivano i Paesi che bombardavano le loro postazioni. Il terrorismo povero, invece, colpisce senza riguardo per la politica estera dei Paesi europei. Il che significa che Francia e Italia sono entrambi esposti, anche se l’Italia, a differenza della Francia, non ha mai sparato un solo proiettile contro l’Isis.

Il secondo motivo di preoccupazione è che il numero dei richiedenti asilo, che poi diventano terroristi, è in crescita. Mohammad Daleel, che saltò in aria ad Ansbach, il 24 luglio 2016, era un richiedente asilo proveniente da Aleppo. Anis Amri, l’autore della strage contro il mercato natalizio di Berlino del 19 dicembre 2016, aveva beneficiato dello status di rifugiato politico proprio in Italia. E poi ci sono i casi di Rakhmat Akilov e Abderrahman Bouanane. Il primo, uzbeco, colpì Stoccolma, il 7 aprile 2017; il secondo, marocchino, realizzò la strage di Turku, in Finlandia, il 18 agosto 2017.

Questi terroristi utilizzarono armi differenti – camion, coltelli o zainetti esplosivi – ma erano tutti richiedenti asilo. Se poi citiamo anche i terroristi dell’Isis immigrati di prima generazione, la conoscenza del fenomeno diventa più profonda. Mohammed Bouhlel, l’autore della strage di Nizza del 14 luglio 2016, era un tunisino giunto in Francia nel 2005, mentre Youssef Zagba, uno dei tre autori della strage al London Bridge del 3 giugno 2017, era nato e cresciuto in Marocco. Questi casi contribuiscono a indebolire una delle tesi più diffuse sul terrorismo e cioè che i terroristi sono immigrati di seconda o di terza generazione. Eravamo abituati a dire: “Sono nostri concittadini che non abbiamo saputo integrare”. Non è più possibile affermarlo. 

Il terrorismo povero è meno letale di quello ricco, ma è più destabilizzante sul piano politico e della convivenza civile. Fino a quando gli attentati erano realizzati da immigrati di seconda o terza generazione, il dibattito pubblico sul terrorismo veniva mitigato attraverso il senso di colpa. L’argomento prevalente era il seguente: “È colpa nostra, perché li trattiamo male”. Questa logica argomentativa non può più essere utilizzata con la disinvoltura di un tempo. Il giovane gambiano, Alagie Touray, arrestato ieri a Pozzuoli, era stato trattato bene dall’Italia, proprio come Anis Amri. Entrambi avevano ottenuto accoglienza e solidarietà. Dobbiamo confrontarci con il fatto che alcuni immigrati si radicalizzano nel volgere di pochi mesi, e non nell’arco di anni, anche se ricevono il sostegno dello Stato italiano e dei suoi operatori. Chiariti i termini del problema, cerchiamo di capire che cosa fare. In questo caso, fare significa ragionare. Nonostante il passaggio dal terrorismo ricco a quello povero, la strategia dell’Isis è rimasta la stessa: spingere gli europei contro gli immigrati per favorire la loro radicalizzazione.

Siccome i capi dell’Isis non possono recarsi nelle nostre città per radicalizzare gli immigrati con discorsi infuocati nelle piazze pubbliche, lasciano a noi questo compito, favorendo la diffusione dell’intolleranza e del razzismo. D’altronde, l’Isis ambisce a creare un esercito e ha il problema di aumentare il numero dei soldati. Non è un invito a nascondere le sfide che l’immigrazione di massa pone alla sicurezza della Repubblica, ormai innegabili. È un invito a non cadere in trappola. La lotta contro il terrorismo deve essere dura, ma il più possibile silenziosa. 

aorsini@luiss.it 
 
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