Napoli, Vigilante ucciso con una spranga di ferro: nella babygang una promessa del calcio. «Ci sbrighiamo per l'allenamento?»

Napoli, Vigilante ucciso con una spranga di ferro: nella babygang una promessa del calcio. «Ci sbrighiamo per l'allenamento?»
di Daniela De Crescenzo
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Domenica 18 Marzo 2018, 11:13 - Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 10:30

«Ci sbrighiamo in tempo per l'allenamento?»: gli agenti del commissariato di Scampia hanno appena prelevato C.U. e stanno per interrogarlo. Il sedicenne è accusato di aver partecipato all'aggressione della guardia giurata Francesco Della Corte, ma si preoccupa di non perdere la seduta atletica.

Giovane promessa del calcio, ieri avrebbe dovuto essere in campo con la sua squadra, invece è finito al centro di prima accoglienza dei Colli Aminei dopo aver confessato il raid compiuto con K.A e L.C.: volevano rubare una pistola al vigilante di turno alla metropolitana di Piscinola a Napoli e nella notte tra il 2 e il 3 marzo lo hanno massacrato a bastonate. Della Corte è spirato all'alba di venerdì. Quando ha saputo di averlo ucciso, K.A. ha detto in lacrime: «Allora abbiamo combinato veramente un guaio». Eppure, nel rione dove sono nati e cresciuti, a poca distanza dal luogo dell'assalto, tutti li descrivono come bravi ragazzi, tutti manifestano sconcerto e stupore per il loro arresto. Tutti sono increduli, anche Francesca (il nome ovviamente è di fantasia), la fidanzatina di L.C. Quindici anni, un viso pulito, lei giura che il suo ragazzo in questi quattordici maledetti giorni non le aveva mai detto nulla: «Mai, mai, si è lasciato scappare una parola. Eppure ci conosciamo dall'asilo. Siamo cresciuti insieme e il 9 aprile festeggeremo il primo anno di fidanzamento. Il giorno dopo l'aggressione siamo andati al cinema. Lui era tranquillo, sereno. E quando in televisione sentiva parlare di anziani picchiati ha commentava: Chi fa queste cose è un infame».
 
La ragazzina poi mormora: «Il mio fidanzato sognava di fare il panettiere: da lunedì doveva andare a imparare il mestiere in una bottega. Avevamo programmato di sposarci quando io compirò venti anni, di avere dei figli. Adesso lui resterà in carcere, ma io appena possibile andrò a incontrarlo: noi non siamo come gli altri, noi siamo gente che resta al fianco di chi ama». Quindici anni e un sogno bruciato, Francesca passa le ore a casa di Emilia, la zia di L., che spiega: «La mamma del ragazzo sta tornando dalla Germania dove vive l'altro figlio: da minorenne il fratello di L. aveva avuto problemi di droga, poi ha ripreso in mano la sua vita, è andato a lavorare all'estero e ora ha anche un bambino. Mia sorella era da lui quando ha saputo per telefono dell'arresto di L: si è disperata e adesso sta salendo su di un aereo sperando di poter incontrare il figlio al più presto». Emilia prende fiato e aggiunge: «Mi dispiace per mio nipote, non aveva mai dato problemi e non mi sarei mai aspettata che potesse fare del male a qualcuno. Ma più ancora mi dispiace per il vigilantes e per la sua famiglia: hanno subito una violenza irrimediabile».
L.C., come K.A. e C.U., non andava a scuola: era già stato bocciato in prima elementare ed era riuscito a conquistare la terza media grazie al progetto Arcobaleno. Poi aveva lasciato definitivamente i banchi e, come gli altri due, passava la giornata nelle strade del rione. Già, il rione. Strade senza un negozio, senza un cinema, senza una luce, il «rione di Pippotto», perché proprio qui abitava Domenico D'Andrea, conosciuto appunto come Pippotto, il ragazzo che don Antonio Riboldi aveva tentato inutilmente di salvare e che è poi stato condannato per l'assassinio dell'edicolante Salvatore Buglione: un'altra aggressione mortale e ingiustificata. Il seme della violenza abita qui, a Piscinola, ai margini di quella fu la 167 ed è oggi Scampia.

Le storie dei tre ragazzi sembrano la fotocopia l'una dell'altra. La madre e il padre di L.C non hanno un lavoro fisso, i due sono separati. Anche il padre di C.U. lavora da precario come muratore edile mentre il papà di K.A fa il parcheggiatore abusivo. La mamma ha più volte chiesto l'intervento degli assistenti sociali, sostenendo che il padre beveva, cosa che aveva denunciato anche al commissariato, al quale, del resto, si era rivolto anche l'uomo, presentando a sua volta delle segnalazioni. La donna ha giurato: «Non andrò da mio figlio, non voglio più vederlo». I ragazzi si conoscono fin da bambini e frequentano un circolo a poca distanza da casa. Uno di loro, L.C, a 12 anni era stato accusato di un reato a sfondo sessuale, ma al commissariato di Scampia ha detto di essersela «cavata». Gli altri non avevano mai avuto a che fare con la giustizia. Fino all'alba di venerdì, quando hanno scoperto di aver ucciso un uomo. Uno dei tre voleva subito scrivere alla figlia del vigilante, gli è stato risposto che avrà tempo per farlo. Adesso è il momento di capire bene che per rubare una pistola hanno tolto la vita a un uomo. In fondo, sono d'accordo tutti quelli che li hanno ascoltati, non hanno ancora realizzato di aver «regalato» la morte.

 

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