Corea del Nord, gli Usa: finita l'era della pazienza. La Cina chiede moderazione

Corea del Nord, gli Usa: finita l'era della pazienza. La Cina chiede moderazione
4 Minuti di Lettura
Lunedì 17 Aprile 2017, 12:51 - Ultimo aggiornamento: 17:23

«L'era della pazienza strategia è finita» con la Corea del Nord: così il vicepresidente americano Mike Pence, aggiungendo che gli Usa useranno «qualsiasi mezzo necessario» per proteggere la Corea del Sud. Pence ha visitato la zona di confine demilitarizzata tra le coree. Il presidente americano Donald Trump spera intanto che la Cina userà le sue «leve straordinarie» per fare in modo che la Corea del Nord abbandoni il suo programma missilistico e nucleare.

Di fronte a una «situazione molto delicata e pericolosa» nella penisola coreana, la Cina esorta tutte le parti coinvolte a dare prova di moderazione astenendosi da provocazioni: lo ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Lu Kang, secondo cui bisogna ridurre le tensioni al fine di «tornare al tavolo negoziale e risolvere i problemi con mezzi pacifici». Pechino vuole far ripartire il dialogo multilaterale (di cui fanno parte Cina, le due Coree, Usa, Russia e Giappone), in stallo da dicembre 2008.

L'America e la Corea del Sud devono mostrare fermezza di fronte alle «provocazioni» del regime nordcoreano, insiste invece il vicepresidente degli Stati Uniti a Seul, giunto poco dopo il lancio fallito di un missile balistico da parte di Pyongyang. E quella di Pence è la voce degli Stati Uniti davanti all'insolito silenzio del presidente Trump, che ha scelto il «no comment» immediatamente dopo l'ultima provocazione nordcoreana. Salvo tornare a twittare la mattina di Pasqua da Mar-a-Lago, affermando che la Cina sta lavorando con gli Usa per risolvere il problema nordcoreano. «Perchè dovrei chiamare la Cina un manipolatore di valuta quando sta lavorando con noi sul problema nordcoreano. Vediamo cosa succede!», ha scritto Trump.

A dare qualche elemento sulla strategia americana è il consigliere per la sicurezza Nazionale Usa HR McMaster: gli Stati Uniti stanno valutando, con gli alleati nella regione, con i partner e con la leadership cinese, «una serie di opzioni» in risposta a quello che considerano uno schema provocatorio della Corea del Nord. Con l'obiettivo di «agire in modo da evitare il peggio», dichiara McMaster, oggi in missione in Afghanistan per gestire la crisi aperta con lo sgancio della super-bomba. 

Gli Usa sono al lavoro per raccogliere dettagli sul lancio fallito, effettuato proprio dopo che Kim jong un aveva mostrato i muscoli al mondo facendo sfilare il suo arsenale di guerra nella grande parata del Giorno del Sole. Secondo uno dei consiglieri per la Sicurezza della Casa Bianca, il missile testato dalla Corea del Nord è esploso 4-5 secondi dopo il lancio ed è un vettore di medio raggio. La stessa fonte ha inoltre sottolineato che gli Usa avevano buone informazioni di intelligence sia prima che dopo il fallito lancio di Pyongyang.

Resta tuttavia un mistero il suo fallimento: non si tratta della prima volta ma le particolari circostanze, le tensioni altissime e la mobilitazione americana (l'armada mossa da Trump pronta a rispondere in caso di minaccia) insieme con le risolute dichiarazioni del commander in chief, sono tutti elementi che sollecitano ipotesi su quanto accaduto. Una di queste sottolinea la possibilità che il test missilistico fallito sia stato sabotato a distanza dagli Stati Uniti attraverso attacchi cibernetici di hacker dell'intelligence di Washington. Non è una teoria nuova, ma a rispolverarla oggi è un politico conservatore britannico, Sir Malcolm Rifkind, ex ministro degli esteri e della difesa nei governi di John Major, citato da alcuni media, fra cui il britannico Telegraph: «Il test potrebbe essere fallito perché il sistema non era in grado di portarlo a termine, ma si è portati a credere che gli Stati Uniti, attraverso metodi di cyberguerra, siano riusciti in varie occasioni a interrompere questo tipo di collaudi, facendoli fallire». In fin dei conti, ricorda il Telegraph, nel 2014 l'allora presidente Usa Barack Obama ordinò che si intensificassero gli sforzi per colpire la capacità missilistica nordcoreana con la guerra elettronica e l'hackeraggio.

Anche il premier giapponese Shinzo Abe intanto sottolinea l'esigenza di anteporre le trattative diplomatiche e fare pressione sulla Corea del Nord, prima di pensare a ricorrere all'uso della forza. Davanti alla Commissione parlamentare della Dieta Abe ha ricordato che «malgrado Pyongyang abbia scelto di mostrare i muscoli e il proprio arsenale militare, è importante continuare a proteggere la pace tramite gli sforzi diplomatici e aumentare le sollecitazioni per un maggior dialogo».

Il premier nipponico - che nei scorsi giorni aveva sostenuto le dichiarazioni del presidente Usa - ha ribadito che il Giappone lavorerà in accordo con Cina e Russia insieme a Stati Uniti e Corea del Sud, per fare pressione su Pyongyang e un auspicato ritorno alla calma. Abe ha anche detto che il governo di Tokyo sta valutando diversi piani contingenti che potrebbero riguardare un afflusso di rifugiati nel caso di una escalation militare della penisola coreana, e le contromisure per un'eventuale evacuazione e messa in sicurezza dei cittadini giapponesi dalla Corea del Sud, stimati in circa 60mila. 



 

© RIPRODUZIONE RISERVATA