Campagna francese/ L’insulto dell’Eliseo “neo-sovranista” che si scopre solo

di Marco Gervasoni
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Venerdì 22 Giugno 2018, 01:11
Che l’incontro parigino di venerdì scorso tra Giuseppe Conte ed Emmanuel Macron fosse servito a poco l’avevamo capito. 
Infatti, neppure una settimana è passata ed ecco il presidente francese infilzare di nuovo il nostro Paese e il nostro governo, con allusioni indirette ma evidentissime. E usare un termine choc: «lebbra». Quando abbiamo letto l’agenzia siamo trasaliti: le metafore mediche, il riferimento alle malattie infettive, e in modo particolare il termine «lebbra», per attaccare gli avversari politici, appartengono a un vocabolario da anni Trenta del secolo scorso, e fanno sobbalzare se pronunciate dal presidente giovane di un’antica democrazia. 

Evidentemente, dal punto di vita comunicativo, Macron sta cercando di imitare Trump e il suo stile diplomatico fondato sugli attacchi diretti e anche sulla denigrazione (chiedere al premier canadese Trudeau). Lo stesso Trump che, da questo punto di vista, è maestro di Matteo Salvini, anch’egli cultore del confronto diretto e muscolare. Che Macron e Salvini siano una sorta di gemelli diversi può far sorridere, ma è così: gli attacchi dell’uno producono le risposte dell’altro e così via, secondo una reazione a catena. C’è poi tutta la cifra dell’esperimento politico rappresentato da Macron: il suo dovere di essere al tempo stesso di sinistra e di destra. Una discrasia visibile anche nel discorso di ieri: prima Macron ha denunciato gli «estremisti» e i «populisti» (argomentazione di sinistra), poi però ha quasi urlato il suo rifiuto di accogliere immigrati e la sua volontà di respingere quelli che ci sono, perché «altrimenti la Francia non reggerebbe» (argomentazione di destra). Senza dimenticare che «lebbrosi», per usare il linguaggio di Macron, sono quasi metà degli stessi elettori francesi: tanti sono infatti coloro che, alle presidenziali, hanno votato per Le Pen, Mélenchon, e altre piccole liste «sovraniste». 

A proposito, a questo punto, è difficile negare a Macron l’iscrizione al composito club dei sovranisti; un sovranismo politicamente corretto, sostenuto dall’establishment, un sovranismo europeo, purché la leadership della Ue sia in mano alla Francia. L’operazione stava anche riuscendo, quella di spostare il focus del comando, dagli anni Novanta stabilmente in mano a Berlino, verso Parigi: se non ci fosse stato l’imprevisto del 4 marzo italiano e la nascita di un governo che non intende restare supino a ciò che resta dell’asse franco-tedesco. Infatti il conflitto non è più solo tra Macron e Salvini, l’alleato di Le Pen: è esteso a tutto l’esecutivo. Tanto è vero che il primo a rispondere duramente a Macron è stato il vice premier Di Maio: sembrano così lontani i tempi in cui qualcuno stava provando a costruire un’alleanza europea tra 5 Stelle e En Marche, eppure era solo qualche settimana fa.

Se è così, dobbiamo abituarci a considerare la Francia un avversario stabile, su cui non contare troppo: per Macron è infatti fondamentale far fallire l’esperimento gialloverde, per cui aspettiamoci da lui colpi con l’obiettivo di isolare Roma e infilarla in un cul de sac. Su questa base, c’è da essere molto pessimisti sull’esito del meeting informale di domenica e persino su quello del vertice ufficiale di fine mese, almeno per quanto riguarda la questione dei migranti. Per cui dovremo guardare molto di più alla Germania e all’Austria: Merkel non è certo un’entusiasta supporter del nostro governo, ma almeno conserva le forme ed è sempre alla ricerca della mediazione. Mentre quello che era considerato il nostro alleato naturale sulla stabilità dell’eurozona, appunto Macron, dopo la giornata di ieri si è allontanato ancor più: del resto, i malati infetti (così ci vede l’Eliseo) vanno isolati. Evitiamo perciò di farci stringere dal cordone sanitario.
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