Tre anni di austerity/ Così la lezione della Grecia ha rafforzato gli eurocritici

di Gianfranco Viesti
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Venerdì 22 Giugno 2018, 01:02
L’Eurogruppo di ieri ha discusso tempi e modalità dell’uscita della Grecia dai programmi di “salvataggio” europei. L’occasione è opportuna per rileggere un po’ della storia economica europea degli ultimi otto anni: soprattutto per ricordare come l’azione delle istituzioni europee sia stata ispirata da un rigido approccio ideologico, abbia creato molti problemi economici e sociali, e abbia contribuito non poco all’emergere di posizioni politiche di reazione “sovranista”. 

La crisi greca mette in luce molto bene l’incompletezza e le asimmetrie dell’attuale costruzione europea e i rischi che questa realtà comporta ancora oggi: chissà cosa succederà alle prossime elezioni europee. 
Tutto inizia nel 2010. La Grecia è un’economia debole, in grado di esportare solo servizi marittimi e turistici; già piegata dalla crisi internazionale del 2009, scopre che i governi conservatori in carica negli anni precedenti hanno truccato i conti. E quindi si risveglia non solo con un enorme debito ma anche con un deficit pubblico fuori controllo. È indispensabile tagliare le spese e aumentare le tasse. Ma in un’economia così debole questo non fa che aggravare le cose, deprimendo il PIL e aumentando i problemi di finanza pubblica. Si impennano i tassi di interesse perché aumenta il rischio di “fallimento” del Paese. Ma questo aggrava ancor più le cose: per lo Stato e per le banche (piene di titoli pubblici); non per la speculazione internazionale, che ci marcia.
E, è bene non dimenticarlo mai, crea un rischio ritenuto impossibile: la rottura dell’euro. Il rischio contagia gli altri paesi dell’Europa Meridionale: eventi fondamentali per la crisi che scoppia in Italia nel 2011; in quell’anno, sostiene la Banca d’Italia, il 5% di interesse che il nostro governo deve pagare in più rispetto ai tedeschi, è dovuto per il 3% al “rischio di ridenominazione”.
Qui viene fuori il problema dell’Europa. 

Se la Grecia fosse uno degli Stati degli USA o una delle regioni italiane l’azione del bilancio federale (nazionale) avrebbe ridotto di molto i problemi, con la sua azione assicurativa e redistributiva. Ma il bilancio europeo ha una dimensione risibile. La Grecia ha l’euro. La Banca Centrale è a Francoforte, e non ad Atene: e ha il divieto di intervenire in soccorso degli Stati Membri. L’Europa si muove, ma tardi e male. Con i nuovi fondi (che poi confluiranno nell’ESM) concede nel maggio 2010 un prestito di 110 miliardi, in collaborazione col Fondo Monetario Internazionale. Ma i soldi vengono prevalentemente usati per ripagare i creditori privati della Grecia, e mettere così in sicurezza innanzitutto le banche francesi e tedesche, creditrici per 79 e 43 miliardi. Vengono imposte condizioni draconiane: lunghe e dettagliate liste di tagli di salari, pensioni e spesa pubblica, anche nella sanità, nell’istruzione, nell’assistenza sociale. Viene applicato un pensiero unico neoliberista fatto di ricette uguali per tutti, senza la giusta sequenza e ad amplissimo spettro. Apertamente punitivo: per dare l’esempio. Al socialista Papandreu viene proibito di interpellare i cittadini con un referendum. Il paese perde sovranità.

Un trattamento normalmente riservato alle colonie, come scriverá il politologo greco, europeista, Luokas Tsoukalis, nel suo bel libro del 2016 non a caso intitolato “In defense of Europe”. Giá nel 2013 il Fondo Monetario Internazionale riconoscerá l’insensatezza di questa strategia, che sottovaluta l’effetto recessivo di queste manovre (tecnicamente: i moltiplicatori della spesa) e il loro enorme impatto in termini di vera a propria “macelleria sociale”. La storia continua fino ad oggi, con nuovi prestiti (sui quali i creditori, Germania in testa, lucrano cospicui interessi), un’austeritá permanente, effetti sociali molto gravi. E una permanente perdita di sovranità: Tsipras perde il braccio di ferro con il referendum del 2015 e la sua maggioranza è costretta a votare provvedimenti imposti dall’esterno; a vendere, a tedeschi e cinesi, infrastrutture essenziali. 
I greci hanno avuto enormi responsabilità, dalla spesa facile alla grande evasione fiscale. Ma altrettante, se non di più, ne hanno accumulate istituzioni e governo forti dell’Europa: anche, come si diceva in apertura, agli occhi dei cittadini; non solo greci.

Una storia su cui conviene riflettere specie guardando avanti. Il problema non è la moneta unica in sè (e comunque uscire è completamente diverso, e molto più pericoloso, che non essere entrati). Ma le politiche economiche che si sono imposte dal 2011 in poi: anche l’esperienza greca suggerisce che è bene rivederle, anche sensibilmente, a cominciare dalle disposizioni del fiscal compact in grado di ingessare per lustri i debitori. Suggerisce che oggi il vero europeismo, fondamentale per il nostro paese, non può che essere critico. La strada possibile per contrastare pericolose derive sovraniste non è la retorica ma una paziente, difficile ma determinata azione riformatrice.
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