Libano, ora la "guerra" con Israele si combatte per i pozzi petroliferi

Libano, ora la "guerra" con Israele si combatte per i pozzi petroliferi
di Franca Giansoldati
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Lunedì 12 Febbraio 2018, 08:19 - Ultimo aggiornamento: 22:18
dal nostro inviato
BEIRUT A complicare le cose ci si è messo pure il petrolio. In un Libano perennemente sospeso tra occidente e oriente, con i suoi equilibri demografici (e politici) precari, e una Costituzione troppo vecchia alla quale nessuno vuole mettere mano, per non fare scoppiare di nuovo la discordia, c'è almeno un fronte che riunifica. La popolazione libanese si scopre infatti un po' più compatta di quanto non sia mai stata prima nel difendere i suoi interessi petroliferi dalle mire di Israele, che rivendica con forza una bella quota dei giacimenti off-shore individuati nelle acque territoriali, il cosiddetto Blocco 9.

Pochi giorni fa il ministro dell'acqua e dell'energia libanese, Abi Khalil, ha presentato il consorzio pronto a iniziare le esplorazioni, formato da tre società straniere che si sono aggiudicate l'appalto: l'Eni, la francese Total e la russa Novatek. Uno dei blocchi interessati alle esplorazioni, il numero 9, è però rivendicato da Israele, visto che si trova a cavallo delle rispettive acque territoriali, e la linea di confine non sembra nettamente definita. Insomma, si prospettano potenziali guai.

VERSO IL VOTO
In questo contesto certo non aiuta la recente decisione dell'esercito israeliano di iniziare a costruire un muro di cemento sulla linea blu, sempre in territorio libanese, anche se Netanyahu ha rassicurato l'Onu che si tratterebbe «solo» di un muro, perimetrato nel suo territorio. Al Libano questa iniziativa è suonata come l'ennesima provocazione.

Per il presidente Aoun si tratta di una violazione delle Risoluzioni Onu, che non rispetta la linea di confine internazionale. Intanto il tempo scorre accumulando tensioni su tensioni.

A tre mesi dalle elezioni i leader libanesi fanno quadrato. Il presidente cristiano maronita, Michel Aoun, il premier sunnita Saad Hariri, il presidente della camera Berry, di espressione sciita, hanno siglato un patto per far partire una offensiva diplomatica a tutto campo allo scopo di frenare Gerusalemme e i suoi appetiti petroliferi. Obiettivo comune, il famoso blocco numero 9. Alla vigilia delle presidenziali di maggio, questo argomento getta olio sul fuoco. Facile prevedere che la campagna elettorale avrà toni forti, e farà leva sulla crisi economica, alimenterà le polemiche per un'economia che ha avuto una crescita minore rispetto alle prospettive immaginate e sul nodo dell'immigrazione. Un tema esplosivo. Gli anni della guerra in Siria hanno fatto entrare in Libano più di un milione di profughi, secondo le stime dell'Alto Commissariato per i Rifugiati, sebbene gli ultimi rapporti registrino un numero in calo rispetto al 2014.
Man mano che la situazione in Siria si fa meno pericolosa, tante famiglie fanno ritorno alle proprie case, oppure scelgono di espatriare definitivamente in paesi terzi. La maggior parte degli esuli siriani sopravvivono nei campi allestiti al confine. Le condizioni di vita sono difficili. A tutto questo si aggiunge l'orrore del ritrovamento sempre più frequente di resti di profughi uccisi dal freddo nel tentativo di attraversare le montagne. Giorno per giorno cresce la tensione.

Davanti al perdurare di tanta precarietà, e ai danni collaterali che produce, i libanesi, sebbene abituati alle convivenze più spericolate e inclini alla tolleranza, mostrano ormai segni di cedimento. Affiora nel Paese la paura per la sicurezza interna, per il rischio terrorismo. Così la campagna elettorale rischia di venarsi di toni aspri finora sconosciuti.

GLI INCONTRI
La preoccupazione internazionale che il Libano possa compromettere la sua identità di importante laboratorio di integrazione, capace di fare convivere 18 diverse religioni, è dimostrata anche dalla imminente visita a Beirut del Segretario di Stato americano, Tillerson. Un viaggio preparato nei giorni scorsi da David Satterfield, incaricato degli affari mediorientali nel governo di Trump.

Intanto anche l'Italia si muove. Per il 28 febbraio è fissata Roma 2, la seconda conferenza internazionale per il sostegno all'esercito e ai servizi di sicurezza libanesi (la prima si è svolta nel 2014). Un incontro basilare per il tema della sicurezza, che era stato al centro dei colloqui tra Hariri e il premier italiano Gentiloni l'anno scorso. Faranno parte della delegazione libanese i vertici del governo e dell'esercito. Probabilmente si parlerà anche di una ulteriore riunione, stavolta da fare a Bruxelles, per affrontare la questione dei rifugiati siriani in Libano.

 
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