Noi e Mosca/ I leader fragili e il modello bonapartista

di Marco Gervasoni
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Lunedì 19 Marzo 2018, 01:01
Il filosofo russo Nikolaj Berdjaev, morto in Francia esule dal comunismo nel 1948, scriveva che la Russia è lo specchio dell’Occidente: ci restituisce un’immagine, deformata e ingigantita, di ciò che noi siamo. Casualmente, ma solo in parte, Berdjaev è anche uno dei pensatori di riferimento di Vladimir Putin, rieletto ieri con un margine persino più ampio di sei anni fa, stando agli exit poll. E allora cerchiamo di capire, più che Putin in sé, cosa rappresenti per noi: se si vuole, quale sia il suo “mito”, forte tanto nei detrattori quanto nei sostenitori. E tentiamo di trarre una lezione. 

Che Putin negli ultimi anni sia un’ossessione per l’Occidente è piuttosto evidente. Anzi, ancor più di un’ossessione: è diventato il nemico, che ogni comunità politica o di destino ha sempre bisogno di possedere. Per quanto la potenza dell’egemonia cinese sia assai superiore a quella russa, pochi percepiscono Pechino come una minaccia. Troppo lontana e troppo fuori dai nostri codici culturali: non è specchio di nulla.
Per un certo periodo, poi, alcuni hanno cercato di dipingere Trump come nemico dell’Occidente; ma poiché Occidente e America sono sinonimi, l’operazione non poteva funzionare, almeno a livello simbolico. Putin invece è il nemico perfetto: per la spregiudicatezza delle sue azioni (chiedere a Londra), per iconografia, per quel senso di oscuro che emana, e perché, per molti decenni, la Russia (sovietica) lo è stata davvero ostile all’Occidente. 

Il nemico, si sa, seduce. E una parte consistente del fascino di Putin, sia tra i detrattori che tra i simpatizzanti, sta nell’immagine che ci restituisce. Quella della supremazia del Politico, del decisore, dell’azione efficace del capo e della sua durata nel tempo. Poco importa che poi, nel putinismo “reale”, questa prevalenza del Politico sia meno assodata che nell’immaginario (anche in Russia, come in Occidente, la tecnocrazia domina, e anzi secondo molti Putin ne sarebbe un puro prodotto). Conta l’immagine. Di ciò che l’Occidente, o almeno l’Europa, non sono più. Da noi il Politico è sempre più debole, quando non inesistente; da noi il Politico non decide, o lo fa con una lentezza che ne spegne l’efficacia. Da noi, soprattutto, il leader non dura. 

Un problema che un personaggio acuto, anche se per più versi disastroso, come l’ex presidente francese Sarkozy ha riconosciuto giorni fa in un discorso a Abu Dhabi. Come possiamo competere noi europei, si è chiesto, con la Cina, con l’India, con la Russia, se qui i capi vengono spodestati e licenziati con la rapidità di un cambio di biancheria? Un cruccio reale.

Qual è allora la lezione da trarre? Importare il putinismo? Certamente no. Anche se, a ben vedere, il regime di Putin, che non è democratico secondo i nostri canoni, ma non è neppure dittatoriale; che non è liberale, ma neppure davvero autoritario, forse l’abbiamo inventato noi, anzi i francesi. Si chiama bonapartismo: ricorda infatti un po’ il regime che Napoleone III edificò in Francia, tra il 1851 e il 1870. Il problema è che, se non costruiremo democrazie efficaci, governanti, in grado di decidere, se non riusciremo a selezionare leader con ampia legittimità, che durino nel tempo, il putinismo arriverà comunque. 

Il modello si sta espandendo (ora è a Budapest e a Varsavia) e non è detto che la democrazia liberale, il nostro schema occidentale, sia destinato a resistere e a durare, di fronte alle trasformazioni geopolitiche ed economiche. Un modo per salvare questo tipo di democrazia consiste nel renderla più solida, riformando le istituzioni politiche. È un problema che sentono in Germania, in Spagna, in Francia, persino nel Regno Unito. E che noi italiani patiamo al massimo, poiché le nostre istituzioni sono state pensate settant’anni fa per produrre leader deboli e impossibilitati a decidere.
La lezione del 4 marzo è che il sistema politico nato dalla Costituzione si è esaurito. La lezione del 18 marzo russo è che, se non vogliamo trovarci un Putin italiano, dovremo costruire ex novo le nostre istituzioni.
 
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