Africa sull'orlo della catastrofe umanitaria: a rischio oltre un milione di bambini

Africa sull'orlo della catastrofe umanitaria: a rischio oltre un milione di bambini
di Giulia Prosperetti
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Lunedì 17 Aprile 2017, 09:22 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 12:45
Il tempo sta per finire per oltre un milione di bambini. L’allarme, lanciato da Anthony Lake, Direttore generale dell’UNICEF, a fine febbraio, ha aperto gli occhi della comunità internazionale su quella che dalle Nazioni Unite è stata definita la più grande crisi umanitaria dal 1945 ad oggi. Incrociando i dati forniti dall’UNICEF con quelli dell’ultimo report della FAO sulla situazione alimentare e applicando questi numeri alla realtà di povertà, insicurezza e conflitti che caratterizza, in modo particolare, Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen, si ottiene un quadro drammatico che non accenna a migliorare.

Secondo Stephen O’Brien, Sottosegretario generale dell’ONU per gli affari umanitari e Coordinatore delle emergenze, solo in questi quattro paesi, oltre 20milioni di persone rischiano di morire di fame nel corso di quest’anno e, di questi, 1,4 milioni sono bambini. La malnutrizione acuta e l’incombente carestia che, senza un tempestivo e massiccio intervento, condanneranno questi bambini a una morte imminente, come ha affermato Anthony Lake, «sono principalmente causate dall’uomo» e per essere contrastate richiedono «azioni più veloci». 

Per evitare l’annunciata catastrofe umanitaria che rischia di colpire questi quattro paesi nei prossimi mesi le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per una imponente raccolta fondi. Le stime dell’ONU per far fronte all’emergenza, tuttavia, sono ancora molto lontane dall’essere raggiunte: oltre 5,6 miliardi di dollari di cui 4,4 miliardi entro il mese di luglio (ma le prime stime avevano posto il limite temporale a fine marzo). A fine febbraio i fondi raccolti ammontavano ad appena 90 milioni che, per dare un’idea – come ha sottolineato il Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres – significa «circa due centesimi per ogni dollaro necessario». 

Mentre il tempo stringe e l’Europa sembra assistere inerme al ripetersi di una tragedia che si preannuncia più grave ed estesa della carestia nel Corno d’Africa del 2011, un primo segnale arriva dal Regno Unito. Sulla home page del Disasters Emergency Committee (DEC), comitato che riunisce le tredici principali agenzie umanitarie britanniche per unire le forze nella raccolta fondi in caso di crisi umanitarie, campeggia su sfondo rosso la scritta “East Africa crisis appeal” e scorrendo le pagine si trovano analoghi appelli per le crisi in Yemen e in Nigeria.

Il lancio della raccolta fondi ha riportato l’attenzione dei media britannici sulla crisi umanitaria in Africa e a poche ore dall’appello del DEC, in concomitanza con la visita del ministro degli Esteri britannico Boris Jonhson in Somalia per colloqui sulla sicurezza e sulla grave siccità nella Regione, da Buckingham Palace è giunta la notizia di una donazione personale da parte della regina Elisabetta. Un gesto che, oltre a riportare il focus internazionale su questa emergenza, si spera, riesca a fornire l’abbrivo per una coordinata ed efficace risposta internazionale a quella che si preannuncia come una catastrofe umanitaria mai vista nella storia delle Nazioni Unite. 

LE CAUSE DELLA CRISI UMANITARIA 
“Carestia” è un termine usato con parsimonia dalle Nazioni Unite. Nella classificazione ufficiale dell’ONU la carestia viene dichiarata quando il 20 percento della popolazione in un territorio deve far fronte a una “carenza estrema di cibo”, il tasso di malnutrizione supera il 30 percento e la mortalità per fame raggiunge le 2 persone al giorno ogni 10mila. Se negli ultimi trent’anni il mondo ha attraversato diverse carestie (Somalia nel 2011, Sud Sudan nel 2008, Etiopia nel 2000, Corea del Nord nel 1996, Somalia nel 1991 e ancora Etiopia nel 1984), attualmente, come ha affermato Stephen O’Brien nel suo rapporto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, «siamo difronte a un punto critico nella storia». La prospettiva di tre ulteriori dichiarazioni formali di carestia, oltre alla crisi già ufficializzata in Sud Sudan, apre, infatti, uno scenario senza precedenti nell’epoca moderna. 

Sud Sudan. La dichiarazione di carestia dello scorso febbraio in numerosi distretti dell’Unity State, in Sud Sudan, si inserisce nel drammatico contesto della sanguinosa guerra civile che dal 2013 si protrae nel Paese. Scaturito dalla competizione per il potere tra il Presidente Salva Kiir  e il Vice-presidente Riek Machar, dopo il fallimento degli accordi di pace del 2015, il conflitto si è trasformato in un reciproco tentativo di genocidio dagli esiti devastanti con oltre 30mila vittime e 2 milioni di profughi e sfollati. La metà della popolazione vive in condizioni di indigenza, la maggior parte erano, infatti, contadini che con la guerra hanno perso tutto. Il conflitto ha distrutto campi e fattorie, minando drasticamente le fonti di sostentamento della popolazione con un’inflazione che ha superato l’800 percento rendendo impossibile acquistare anche i generi alimentari essenziali. Il resto lo ha fatto la siccità. Alcuni funzionari dell’ONU hanno, inoltre, riferito della difficoltà di portare aiuti umanitari in alcune aree del Paese. Sembra, infatti, che il Presidente Salva Kiir abbia ordinato di bloccare gli aiuti attaccando i convogli umanitari nonostante la promessa di lasciare libero accesso agli operatori sull’intero territorio. 

Secondo l’ultima analisi del Comitato Internazionale di Pianificazione per la Sovranità Alimentare, attualmente la carestia è limitata all’Unity State ma vi sono circa 100mila persone classificate nella categoria 5 (“catastrofe”) nelle province di Leer e Mayendit. Il rischio che la carestia si estenda ad altre aree del Paese è elevato e il contenimento del fenomeno è stato, finora, possibile solo grazie all’assistenza umanitaria. I dati diffusi dall’ONU fotografano un Paese con un milione di persone sull’orlo della carestia e oltre il 40 percento della popolazione totale, circa 5milioni di abitanti, che entro il prossimo aprile avrà un’urgente necessità di cibo, acqua ed altri mezzi di sostentamento necessari alla sopravvivenza. Un dato che, secondo le previsioni, è destinato ad aumentare fino a raggiungere i 5,5milioni di persone entro luglio.

Somalia. Dopo aver affrontato la terribile carestia che nel 2011 causò la morte di 260mila persone, fra cui 133mila bambini, la Somalia si appresta ad affrontare una nuova crisi umanitaria. La siccità che affligge il Corno d’Africa ha aggravato le condizioni della popolazione in un Paese che dopo 25 anni di conflitto e la recente elezione del presidente, Mohamed Abdullahi Mohamed, “Farmajo”, è ancora alla ricerca della propria stabilità. Diverse aree del Paese, soprattutto quelle rurali, sono ancora sotto il controllo del gruppo jihadista affiliato ad al-Qaeda, al-Shabaab, attivo dal 2006, che si contende con il Governo Federale il controllo della Somalia. Secondo le Nazioni Unite le persone a rischio di carestia, con urgente bisogno di assistenza umanitaria, sono 2,9milioni. 

Nigeria. Nonostante la Nigeria sia uno dei maggiori esportatori di petrolio, nel nord-est del Paese la situazione della popolazione è sempre più critica. La minaccia principale continua ad essere rappresentata dai terroristi islamici di Boko Haram che da otto anni animano il conflitto nella regione del Borno: una campagna terroristica e di insorgenza contro il Governo con l’intento di trasformare la Regione in una provincia dello Stato Islamico. A partire dal 2015 la guerra al gruppo jihadista messa in atto dai governi regionali ha notevolmente ridotto la minaccia senza, tuttavia, riuscire a debellarla. Sebbene i terroristi si siano ritirati da molti territori, circa 2,4milioni di persone sono dovute fuggire dalle loro case e non sono più in grado di coltivare le loro terre. A causa della povertà e della scarsità di cibo, soprattutto nelle zone aride del nord, oltre 5milioni di persone sono a rischio carestia. 

Yemen. Se in Africa, oltre ai paesi citati, secondo il recente rapporto della FAO, Crop Prospects and Food Situation, vi è una situazione critica per scarsità di cibo in complessivamente 28 paesi, è spostandoci nella Penisola araba che troviamo lo Stato con la più grande crisi umanitaria. Stretto tra l’Oman e l’Arabia Saudita, lo Yemen è il paese più povero del mondo arabo. Un paese diviso che, da due anni, dopo il colpo di stato dei ribelli sciiti houthi, è teatro di una violenta guerra civile che coinvolge anche attori esterni. Da una parte i ribelli sostenuti dall’Iran, dall’altra l’esercito governativo del presidente Abd Rabbo Mansur Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita e da una coalizione di paesi arabi sostenuta da Riyad. 

Dal marzo del 2015 il conflitto ha ucciso più di settemila persone e ne ha ferite 37mila. Attualmente, secondo il Sottosegretario generale dell’ONU, O’Brien, i due terzi della popolazione, 18,8 milioni di persone, hanno bisogno di aiuti umanitari. Le persone in stato di malnutrizione grave sono oltre 7 milioni e il numero aumenta drasticamente di mese in mese. Per la FAO il rischio di carestia nel Paese è molto elevato. La carenza di cibo nel Paese è dovuta principalmente all’embargo navale imposto allo Yemen dalla coalizione saudita a partire dal 2015 che ha drasticamente ridotto le importazioni di generi alimentari, in un Paese in cui esse costituivano il 90% degli alimenti di base. 

UNA STRAGE DI BAMBINI
Se non è accettabile che nel 2017, in un mondo in cui c’è cibo a sufficienza per tutti, ci siano milioni di persone che muoiono di fame, questa prospettiva diviene, se possibile, ancora più drammatica quando le prime vittime sono dei bambini. E, secondo i dati forniti dall’UNICEF, se non si interviene tempestivamente, quella che si prospetta sarà una vera e propria strage. Nello Yemen 462mila bambini sono attualmente colpiti da malnutrizione acuta grave con un aumento dal 2014 di circa il 200 percento. 

In Africa l’attuale emergenza fa levitare il numero complessivo a quasi un milione e mezzo. In Sud Sudan i bambini che soffrono la fame sono 270mila, 20mila concentrati nella parte centrosettentrionale del Paese, nelle aree attualmente interessate dallo stato di carestia. In Somalia da 185mila bambini affetti da grave malnutrizione si arriverà, secondo le stime, a 270mila nel corso dei prossimi mesi. Nel Nord-est della Nigeria ci si aspetta che quest’anno il numero dei bambini colpiti, negli stati di Adamawa, Borno e Yobi, arriverà a 450mila. Ma il numero potrebbe essere tragicamente più alto. Come segnalato dal Fews Net, il Sistema di allerta precoce della carestia che monitora l’insicurezza alimentare, la carestia è probabilmente in corso in alcune aree inacessibili del Paese non ancora raggiunte dagli aiuti umanitari. 

I bambini soldato. La fame, tuttavia, non è l’unica causa di morte per i bambini vittime dei conflitti in Africa e in Yemen. A questi vanno aggiunti i bambini che vengono reclutati come combattenti. Nonostante il dato positivo di 65mila bambini liberati negli ultimi anni da parte di forze e gruppi armati, annunciato dall’UNICEF a fine febbraio, in occasione del decimo anniversario della Conferenza degli Impegni di Parigi per porre fine all’uso dei bambini nei conflitti, questa pratica è ancora diffusa in diversi paesi. Non ci sono dati certi sul numero di bambini attualmente reclutati ma l’UNICEF stima che siano ancora decine di migliaia. A partire dal 2013 si stima che in Sud Sudan siano stati reclutati 17mila bambini.

Un dato impressionante a cui vanno sommati i 10mila che si contano nella Repubblica Centrafricana e i quasi duemila che, secondo le Nazioni Unite, sono entrati nelle fila di Boko Haram nel solo 2016. I dati più aggiornati riguardano lo Yemen. Negli ultimi due anni, l’ONU ha documentato quasi 1500 casi di reclutamento di bambini, ma si stima che il numero sia molto più alto. La grave crisi economica del Paese e la crescente chiusura delle scuole, rende, infatti, più facile per gli Houthi reclutare i minori presso le famiglie più povere, promettendo loro incentivi economici: «da 20.000 a 30.000 rial yemeniti (approssimativamente, da 75 a 115 euro) per bambino al mese nel caso in cui diventi martire sul fronte di guerra», riferisce Amnesty International. 
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