Libertà sotto attacco/ Le nostre vite finite in pasto ai predoni web

di Alessandro Orsini
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Mercoledì 21 Marzo 2018, 00:02
Facebook è uno strumento di libertà, che ha avuto un ruolo fondamentale nelle rivolte contro i dittatori durante le primavere arabe. Oggi, però, Facebook è sul banco degli accusati per avere fornito, senza consenso, i dati personali di 50 milioni di utenti per favorire la campagna elettorale di Trump e di alcuni gruppi che hanno promosso la Brexit. Al problema del rapporto tra la televisione e la democrazia, si aggiunge la nuova sfida alla libertà lanciata dai social network. Per difendere le prossime consultazioni nei Paesi europei, dobbiamo svelare il modo in cui Facebook e la televisione possono manipolare le rappresentazioni degli elettori. 

La televisione può manipolare gli elettori attraverso quattro tecniche fondamentali. La prima tecnica sono le notizie false: Saddam Hussein sta costruendo la bomba atomica. La seconda sono le ricostruzioni fuorvianti: Erdogan sfrutta i profughi siriani per ricattare l’Unione Europa. La terza consiste nell’occultamento dei fatti, come il tacere che l’Iran è il Paese più impegnato nella lotta contro l’Isis perché non fa parte del blocco occidentale.

La quarta tecnica è la negazione del contradditorio. Ad esempio, privare della parola il dittatore della Corea del Nord affinché il suo punto di vista non venga rappresentato correttamente. In questo caso, Kim Jong-un viene accusato di voler lanciare la bomba atomica contro l’Europa, quando, in realtà, cerca un accordo di pace. A differenza della televisione, che parla direttamente all’ascoltatore, Facebook deve ricorrere a un meccanismo più complesso, riassumibile in tre fasi. 

Nella prima fase, Facebook invita a inserire sette informazioni fondamentali per poter aprire un profilo: età, sesso, livello di istruzione, professione, città, interessi e situazione sentimentale. Nella seconda fase, Facebook raggruppa i dati in grandi categorie: coloro che hanno un interesse per le scarpe da ginnastica finiscono nel medesimo contenitore. La terza fase dà inizio al grande business di Facebook che, se viene utilizzato in modo positivo, favorisce il mercato e l’occupazione. Se, invece, è utilizzato in modo negativo, può infliggere una ferita alla democrazia. 

L’uso positivo è facile da descrivere. I venditori di scarpe, utilizzando la carta di credito, pagano dieci euro a Facebook che invia la foto delle scarpe a 10 mila utenti interessati alle scarpe da ginnastica. L’uso negativo avviene quando coloro che hanno dichiarato di avere un interesse per la Corea del Nord vengono raggiunti da notizie false o distorte oppure quando i loro dati personali vengono forniti a gruppi di potere che sostengono un progetto politico, come la Brexit. Tuttavia, il caso più grave di tutti, tra quelli che lo scandalo di Facebook rende ipotizzabili, non riguarda le prossime elezioni in Europa, ma le dittature. 

Immaginiamo che, in seguito a un colpo di Stato improvviso, venga promulgata una legge per cui tutti coloro che hanno dichiarato di avere un interesse per gli Stati Uniti sono considerati nemici dello Stato e cioè del nuovo dittatore. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: la polizia segreta, una volta acquisiti i dati personali, provvede a “sistemare” gli oppositori che, fino al giorno prima, erano onesti cittadini. 

Chiunque ami la libertà, ama le riflessioni sulla libertà, di cui Facebook è sempre stato un grande promotore. È dunque una fortuna che sia scoppiato questo scandalo perché pone le condizioni per una crescita della coscienza civile. 

aorsini@luiss.it
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