Pd, nasce il correntone anti-Renzi: no al centrodestra però niente Aventino

Pd, nasce il correntone anti-Renzi: no al centrodestra però niente Aventino
di Nino Bertoloni Meli
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Giovedì 22 Marzo 2018, 07:50
Sarà per Burian bis, o per il gelo delle urne, o chissà per cosa, fatto sta che il Pd riaccende il caminetto. Non avveniva da temporibus illis, certamente da quando Matteo Renzi assurge alla guida del partito: tra i suoi vanti c'era di aver spento qualsiasi caminetto passato, presente e futuro. Ma la riaccensione è solo una parte della novità, l'altra è che all'appuntamento serale al Nazareno ci sono andati proprio tutti, tranne Renzi e i più stretti renziani, tipo Boschi e Lotti. Invitati anche loro, per carità, ma vistosamente e polemicamente assenti: «Non partecipiamo a pratiche interne alle quali siamo stati sempre contrari», hanno fatto sapere.

LE POSIZIONI
Chi ha portato la legna da ardere? Martina, il reggente, i capigruppo uscenti Zanda e Rosato, l'aspirante Guerini, il capo della minoranza di sinistra Orlando, il capo della ridotta pro 5Stelle Emiliano, e poi Franceschini, e poi Delrio, quindi Orfini. A parte quest'ultimo e, in parte, Guerini, che risultano non avere rotto con l'ex leader, tutti gli altri sono chi più chi meno in rottura o in allontanamento dal renzismo. Nasce, e cresce, il correntone anti Matteo dentro il Pd, anche se va ricordato che il correntone dell'epoca fu una componente di minoranza guidata da Cofferati, che riuscì ad aggregare varie anime, ma che tale rimase a onta del nome roboante, sconfitta poi da D'Alema al congresso.
La riunione tra gli alari è stata preceduta da una nota ufficiale del Pd in cui si dà disco rosso agli incontri proposti dal centrodestra a tutti i partiti per le presidenze delle Camere. «Non partecipiamo a incontri il cui esito è già scritto», l'altolà dem, che più d'uno ha letto come una porta chiusa a un'intesa generale nella quale al Pd erano, e sono, riservate solo le briciole. In sintesi: l'eventuale accordo sulle presidenze richiede l'intesa anche sulle vice e sugli uffici di presidenza, il Pd aveva, avrebbe, in corsa Rosato come vice alla Camera e Zanda o qualcun altro al Senato, nonché un paio di posti tra questori e altre poltrone negli uffici di presidenza.

Ma dietro il no molto tattico, c'è tutta un'altra questione che agita da giorni i dem: l'atteggiamento da tenere per la formazione della maggioranza prossima ventura, e quindi del governo. Il problema non è più tanto se il Pd debba appoggiare un esecutivo pentastellato, che più passa il tempo e più si mostra impraticabile, quanto se debba appoggiare, favorire, sostenere, far decollare il cosiddetto governo di tutti sotto la regia del Colle (di qui la nascita della corrente dei Collisti che annovera più o meno tutte le anime dem a eccezione dei renziani e di qualcun altro). Renzi finora ha mostrato di voler tenere per sé la leadership di quanti dicono no secco a un coinvolgimento con i 5Stelle, ma la pressione collista aumenta di giorno in giorno, e il Pd, o buona parte di esso, non se la sente di essere indicato come quello che ostacola l'avvio della legislatura. Meno Aventino e più Quirinale, in sostanza, per rimanere ai colli romani.

LO SCONTRO
C'è poi lo scontro interno per i capigruppo. Dopo conteggi e riconteggi, si è verificato che se Renzi e renziani non avrebbero la maggioranza sicura tra i parlamentari, non è che però sono finiti in minoranza o all'angolo. Tradotto sulle imminenti scelte dei capigruppo: se per Guerini alla Camera i numeri ci sarebbero e sul suo nome si registrerebbe un consenso vasto, benché venga comunque annoverato tra i renziani sia pure non di giro gigliesco, chi invece rischia e traballa è Marcucci al Senato, considerato un pasdaran renziano e sul quale ha posto il veto a suo tempo Orlando, ma adesso probabilmente esteso a tutto il correntone di neo formazione. Già si parla di Mirabelli o della Fedeli come possibili candidati per la presidenza, «sono non renziani ma ben visti da tutti», dicono a palazzo Madama.

 
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