Pd, Regia di Renzi sugli incarichi per blindare la linea anti M5S

Pd, Regia di Renzi sugli incarichi per blindare la linea anti M5S
di Alberto Gentili
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Mercoledì 21 Marzo 2018, 08:26
Maurizio Martina ha incontrato a lungo, ieri al Nazareno, Dario Franceschini e Graziano Delrio. Non per parlare di intese o ipotesi di governo. Queste tentazioni, almeno per il momento, sono state messe da parte: resiste la linea scelta dalla Direzione e confermata dalla segreteria: «Si sta all'opposizione». E il Pd ci sta perché, come spiega Matteo Ricci, «il pallino ce l'hanno in mano Lega e 5stelle, dunque tocca a loro la responsabilità di dare un governo al Paese. Noi dobbiamo essere pronti a inserirci nelle loro contraddizioni. Ma adesso dobbiamo stare fermi e uniti».

Il problema è che il Pd è tutt'altro che unito. E soltanto parzialmente fermo. Come ha avuto modo di scoprire nel lungo incontro del Nazareno il reggente Martina, lo scontro tra Matteo Renzi e Franceschini, Delrio, Paolo Gentiloni, Marco Minniti, Andrea Orlando, Michele Emiliano etc. è tutt'altro che chiuso. Anche perché l'ex segretario vuole far valere per intero il suo peso. Senza mediazioni. O quasi.

LA PARTITA DEGLI INCARICHI
Ecco allora che Renzi spinge per Lorenzo Guerini, gradito anche a Delrio, come capogruppo alla Camera. E per il suo Andrea Marcucci alla presidenza dei senatori. In più, per non dare spazio agli avversari interni, l'ex segretario vuole Ettore Rosato alla vicepresidenza della Camera e Maria Elena Boschi e Luca Lotti alla guida del Copasir (la commissione sui Servizi) e della Vigilanza Rai. Due incarichi, quest'ultimi, che verranno assegnati soltanto dopo la nascita del governo (se mai avverrà): quando si conoscerà chi starà all'opposizione e chi no. La partita per gli altri incarichi - in gioco c'è anche l'assegnazione di due poltrone di questore e due da segretario d'aula - si disputerà la prossima settimana, una volta eletti i vertici di Camera e Senato. Stesso discorso per le presidenze delle Giunte per le autorizzazioni a procedere e per le elezioni.

Franceschi, Delrio, Gentiloni, Minniti, Orlando tentano di resistere all'offensiva renziana. Per fermare Marcucci schierano la Teresa Bellanova o in subordine Valeria Fedeli. E se Renzi dovesse gonfiare oltre misura i muscoli per gli altri incarichi da vicepresidente, questore, sono pronti a tentare l'accordo con i 5stelle. E fanno già sapere che Luigi Di Maio sarebbe ben felice di contribuire alla marginalizzazione di Renzi.

Uno scontro duro e violento, insomma. Dove i renziani accusano ancora Franceschini di voler puntare a un'intesa di governo con i 5stelle, sulla linea indicata da Walter Veltroni: scuse per gli insulti, nuovo programma, altro approccio e forse altro candidato premier e allora arriverebbe il sì. E dove Franceschini fa dire ai suoi che è una «grande sciocchezza»: «Dario sa bene che l'operazione è impossibile. Per riuscirsi servirebbe il sì di tutti i parlamentari del Pd, ma Renzi è pronto a spaccare i gruppi. Roba da pazzi e Dario non è pazzo...».

LO STOP RENZIANO
Tra vedere e non vedere, Renzi disinnesca anche l'ipotesi del referendum tra gli iscritti. Ecco Guerini: «E cosa consulteremmo a fare i nostri militanti? Per fare un governo con i 5stelle? Questo argomento non è all'ordine del giorno». Ed ecco Rosato: «Il referendum tra gli iscritti non esiste, semplicemente perché manca l'oggetto, non siamo in Germania e non siamo l'Spd». In più, Renzi manda avanti Dario Parrini per stoppare quello che chiama partito del Colle: «Non so se esistono collinisti, dirigenti del Pd fautori di un governo con i 5stelle, con il Colle garante», dice il senatore renziano, «so però che io non lo sono. Per rispetto al Colle, di chi ci ha votato per difendere l'europeismo e perché non soffro di sindrome di Stoccolma».

In realtà, chi ascolta le parole di Mattarella (che ha smentito l'esistenza di un suo partito), piuttosto che a un governo con i 5stelle, pensa a un esecutivo di scopo o di tregua. Per «non disperdere», come afferma Gentiloni, «la fatica e i sacrifici fatti in questi anni dai cittadini per uscire dalla crisi». Ma anche questa ipotesi appare remota. «Perché Salvini e Di Maio», dicono nell'entourage del premier, «non diranno mai di sì, andranno alle elezioni». Ed è impensabile anche l'appoggio esterno a un candidato moderato di centrodestra: «Lasciare i 5stelle all'opposizione sarebbe come suicidarsi».
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