Sindrome 5stelle/ La resistenza al gioco di squadra e i suoi danni

di Marco Gervasoni
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Mercoledì 19 Settembre 2018, 00:03
Una candidatura barocca, non partita bene. Quella dei tre comuni diversi, Torino, Milano, Cortina, per le Olimpiadi invernali. Non per niente, nella storia di questa competizione, i casi di Giochi in condomino tra città della stessa nazione sono rarissimi. 

Per di più, la politica politicienne, quella che guarda non al paese nella sua interezza e coltiva la tentazione campanilistica, è intervenuta in maniera pesante e ha complicato un accordo, tra due città già storicamente rivali come Torino e Milano, oltretutto guidate da giunte di colore diverso. 

Una situazione che in altri paesi può essere agevolmente superabile, ma in Italia lo è meno. La candidatura di Cortina, fortemente proposta dal governatore veneto Zaia, avrebbe dovuto fare da mediatrice alle rivalità. Ma al momento non sembra esserci riuscita. Se tuttavia il piano B, come è già stato chiamato, cioè la candidatura di Milano e di Cortina, dovesse proseguire, almeno riusciremmo a salvare le apparenze nel comitato olimpico, e a risparmiarci altre brutte figure. 

Il tandem Milano-Cortina non disporrebbe della copertura finanziaria del governo e dovrebbe procedere con le sue sole forze: un’impresa più onerosa ma certo percorribile. Come sempre, i fallimenti hanno diversi responsabili. 

In questo caso però non è difficile intravedere, nelle impuntature del Comune di Torino, della sindaca Appendino e dei 5 stelle, una delle principali cause del pasticcio. E la domanda sorge spontanea: che cosa hanno contro le Olimpiadi? Perché sono cosi diffidenti, quando non esplicitamente ostili, a progetti che portano capitali, lavoro e sviluppo? 

L’ideologia discutibile della «descrescita felice» spiega e non spiega al tempo stesso, e così anche l’ultra giustizialismo - marchio del grillismo originario - che si poggia su questo pilastro concettuale: per evitare eventuale corruzione, meglio stare fermi, anche se stando fermi si produce solo disoccupazione. Si può fare il paragone con le Olimpiadi di Roma, pur nella diversità dei due casi. Virginia Raggi e i 5 stelle condussero la campagna elettorale contro i Giochi, fino ad affondare la candidatura della Capitale. Al contrario, la sindaca torinese Appendino, fin da quando si era candidata, sapeva che avrebbe dovuto affrontare il problema e e non si può dire dunque che il dossier Olimpiadi le fosse capitato tra le mani all’improvviso. Allora perché sui Giochi sono intervenute le varie difficoltà che hanno spaccato il gruppo consiliare torinese? 

A essere maliziosi si potrebbe pensare che, avendo il progetto buone capacità di successo, la giunta e i 5 stelle a livello nazionale avrebbero avuto timore a doverlo poi gestire. Al di là del caso specifico, troviamo tuttavia sempre questo vulnus: la tendenza al semplice rifiuto del fare, il cullarsi nell’idea, non si sa quanto meditata, di un declino del nostro paese. Evidentemente destinato, secondo quel modo di pensare, a essere solo meta turistica ( ma anche lì ci vorrebbero strade e infrastrutture, altrimenti come ci arrivano i turisti?). 

Oggi i 5 stelle sono al governo, e quindi avrebbero dovuto dimostrare la loro maturità. Ne traspare poca dallo stile dei diktat come quello che Di Maio ha rivolto a Tria («Pretendo che trovi le risorse, sia serio») sulla legge di bilancio. Davvero un paradosso, dal momento che tanto decisionismo non trova traccia nei pentastellati quando si tratta di decidere. Sembrano paralizzati dall’eterna sindrome da blocca-tutto che investe la Tav come la Tap. Unica eccezione: l’Ilva, ma lasciar cadere il progetto di Taranto equivaleva in quel caso a perdere posti di lavoro già esistenti. Quando si tratta invece di crearli, i 5 stelle rischiano di vagare in un vuoto concettuale e progettuale, in cui sembra prevalere la convinzione che nulla sia riformabile, che nulla valga conservare del passato, e che si debba procedere a una rapida tabula rasa senza costruire. Se dalla questione del ponte di Genova a quella della legge di stabilità, da quelle delle infrastrutture (Tav e Tap) vediamo una cosi radicale differenza di approccio tra Lega e 5 stelle è proprio perché, viceversa, nel partito salviniano sembra prevalere l’idea che conservare quel che c’è da conservare sia meglio che distruggere tutto. Così, paradosso per paradosso, ora la Lega si trova a interloquire con una giunta del Pd, quella Giuseppe Sala: di quello stesso partito che, per poco, nel maggio scorso, non si è alleato con i 5 stelle per formare un governo, una tentazione ancora forte dalle parti del Nazareno. E questa strana intesa olimpica tra Lega e Pd può rientrare a buon diritto nella seguente categoria: quando la realtà travalica le ideologie.
 
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