Catena educativa in tilt/Quel che resta della scuola se l’autorità è perduta

di Marina Valensise
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Venerdì 20 Aprile 2018, 00:05
Il video dei bulli che al liceo di Lucca molestano il professore non è solo virale ma raccapricciante. Un ragazzino si infila un casco e inizia a dare testate al professore come se fosse un ariete, un altro gli sfila il registro dalle mani, e un terzo, non sapendo come rendersi interessante agli occhi dei compagni che filmano la scena col telefonino, solleva di peso due cartoni dell’immondizia per piazzarli sulla cattedra.

Raccapriccio, vergogna… ma soprattutto commiserazione per questi bulletti di paese abbandonati a se stessi da genitori lassisti, da professori impotenti, da presidi incapaci. Se nessuno è in grado di valutare esattamente il danno che tali comportamenti infliggono a breve e lungo termine all’intera collettività, urge riflettere su un episodio che purtroppo non sembra isolato e comporta un totale ribaltamento nel nostro orizzonte di senso.
Siamo passati dal rispetto per il dogma dell’autorità, fondato sull’idea che il professore avesse sempre e comunque ragione, anche se era in torto, al compiacimento in forma di lazzo ludico-teppistico nei confronti del professore che ha sempre e comunque torto, e per questo si presta a diventare lo zimbello della classe. Quale effetto perverso abbia innescato tale ribaltamento orizzonte non sta a noi dirlo.

Lungi da noi puntare il dito contro i cascami della cultura antiautoritaria del Sessantotto, o denunciare le ultime fibrillazioni del permissivismo. Resta il fatto che l’educazione oggi sembra aver completamente perso la sua ragion d’essere, e la scuola come istituzione fondamentale per l’educazione del cittadino sembra aver smarrito la sua stessa missione sociale. Si tratta di un cambiamento subdolo, che emerge solo adesso come un fiume carsico in maniera virulenta. Nel giro di una o due generazioni è cambiato tutto. Ancora negli anni Settanta, se un liceale tornava a casa e protestava contro il professore che a scuola lo vessava ingiustamente, suo padre si sognava di dargli ragione e di presentarsi dal professore per prenderlo a calci o esigere il sei politico. “Mettiti a studiare, fai la persona seria. Non prendere in giro te stesso. Il professore ha ragione”, gli diceva facendo fronte comune.
<HS9>Oggi non è più così. Destituita di legittimità l’autorità di padri e madri, è crollata anche quella della scuola se il povero docente si ritrova in cattedra del tutto impotente davanti al bullismo, alla violenza e alla sopraffazione dei suoi allievi. In classe, sin dalle elementari, sono gli alunni più trasgressivi a essere i più popolari, sono i maleducati a suscitare il plauso dei mediocri, sono quelli si divertono a fare strafalcioni a prendere due al compito di matematica a tenere testa ai professori e a intimidire i più bravi, che vengono isolati come se fossero dei paria da tenere a distanza. 

<HS9>Il bullismo di Lucca sarà anche un episodio unico e eccezionale, ma testimonia un fenomeno così diffuso, da non costituire un caso isolato. Nelle nostre scuole il bullismo si coltiva sin dalle elementari, e le classi diventano plotoni di esecuzione pronti a sparare non solo contro i migliori allievi ma ora anche contro i professori. È questa la dialettica perversa che sovrintende alla selezione al rovescio, fondata sul premio ai peggiori, che ormai è invalsa anche nella vita pubblica. Allora, urge mobilitarsi prima che sia troppo tardi, e scongiurare il peggio, sempre in agguato e sempre vincente, ponendosi una semplice domanda: nel caso di una classe di bulli i presidi che cosa fanno? Perché non agiscono in maniera preventiva? Perché non prendono iniziative per contenere, screditare e neutralizzare il bullo? 

<HS9>Il fatto è che i presidi non intervengono se i professori si mostrano acquiescenti. E i professori non denunciano gli allievi violenti non solo perché ne hanno paura, paura fisica intendo, ma perché sanno di non trovare più una sponda nei genitori degli allievi. Allora, prima di pensare alla prevenzione, occorre ricostruire la catena educativa dalla famiglie alla scuola, e magari iniziare col porre ai genitori una domanda chiave: che figli vorreste ritrovarvi al vostro capezzale? Dei cinici seviziatori violenti? O delle creature sensibili, capaci di compassione?


 
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