Referendum, scatta la sfida nel Pd: la sinistra vuole Emiliano

Referendum, scatta la sfida nel Pd: la sinistra vuole Emiliano
di Nino Bertoloni Meli
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Martedì 6 Dicembre 2016, 08:53
Le ostilità le aprono a suon di bordate Bersani e D'Alema. E a Renzi fischiano le orecchie. Il primo: «Avevamo visto giusto che c'era un'onda di disaffezione e di distacco, con il nostro No abbiamo evitato di consegnare tutto ciò alla destra. Ora servono correzioni profonde di linea in direzione del sociale, l'establishment viene dopo». Il secondo: «Renzi non si dimetta, cerchi di ragionare a mente fredda, abbandoni la strategia dello scontro».

L'ex leader dei Ds definisce «una follia» pensare di puntare su quel 40 per cento del referendum per dar vita al «partito di Renzi» e, ricorda D'Alema, di quando «il Pci prese il 45 per cento al referendum sulla scala mobile ma poi alle politiche non andò oltre il 27 per cento». E se Renzi punta, insiste, preme per elezioni al più presto, D'Alema delinea a sua volta una sorta di strategia del rosolamento del premier congelato in tre tappe: niente dimissioni, niente congresso né elezioni anticipate, «si può arrivare responsabilmente alla scadenza naturale del 2018».

LA RICERCA DEL NOME
La minoranza interna del Pd è in gran fermento. Al congresso del partito, quando sarà, intende arrivarci pronta e con il candidato anti-Renzi all'altezza: è in atto un forte pressing su Michele Emiliano perché si candidi alla segreteria, passando così dall'ostilità politica aperta all'attuale leader (vedi referendum sulle trivelle, o le continue dichiarazioni sul Pd che «non dev'essere il partito dei banchieri») alla scesa in campo diretta per contrastarne la leadership. Una candidatura finora sussurrata ma in fieri, tanto che nella maggioranza non fanno spallucce, anzi, è uno dei motivi che spingono i renziani a convincere Matteo a restare in lizza. «Contro Emiliano un Franceschini perde, lo stesso con Orlando, solo con Renzi si vince», spiegano nella cerchia ristretta.

La minoranza interna ha anche fiutato l'aria che tira in giro dentro il partito, che non è di entusiasmo, diciamo, per la scelta del No dei due ex leader, non ci sono in periferia scene di giubilo per la sconfitta dell'odiato referendum, e insomma questo Pd in buona parte cambiato dai tempi di Bersani e D'Alema e oggi molto renziano, non pensa di passare alle pacche sulle spalle per il comportamento di Speranza e soci apertamente ostile al proprio premier-segretario e al proprio governo.

SEPARATI IN CASA
«Abbiamo visto all'opera D'Alema nei panni di D'Alema, Bersani nei panni di Bertinotti e Gotor in quelli di Turigliatto», la rasoiata di Alessia Morani, deputata pesarese renzianissima, che ricorda i passati delle pugnalate ai governi Prodi. Si fanno sentire anche dalla Toscana il sindaco Nardella successore di Renzi a palazzo Vecchio e Davide Parrini segretario regionale ed ex dalemiano: «Che tristezza vedere D'Alema e Speranza gioire e festeggiare per la sconfitta del proprio governo».

E ricorda, Parrini, che il Pd rimane comunque «una comunità con delle regole, per cui votare una riforma in Parlamento e poi sostene il No è una prima assoluta nella storia della politica italiana». Il clima interno in sostanza, più che da resa dei conti, è di pre-separazione più o meno consensuale. E siccome espulsioni et similia non usano più, la vendetta renziana avverrà al momento delle liste elettorali.

A tal proposito è già partito un dibattito-scontro a tratti surreale sul congresso: da che doveva essere anticipato anticipatissimo, adesso è diventato frenato frenatissimo. «Non è la priorità del momento, ci sono ben altri problemi e scadenze», fa il bersaniano Davide Zoggia di primo mattino. Ma anche dalla maggioranza non si pigia più sull'acceleratore: «La priorità sono le elezioni anticipate, le chiedono i vincitori del referendum, le chiedono le opposizioni e le vogliamo anche noi», spiega Davide Ermini, responsabile Giustizia del Pd. Il sottinteso è che con le elezioni le liste le farà il segretario in carica. C'è poi la variante Fioroni: l'ex ppi a Guerini ha dato un suggerimento: «Convincete Matteo a dimettersi da segretario, in modo da salvaguardarlo come candidato premier, quando sarà».
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