Rieti, per il crac di Risorse Sabine
che costò il lavoro a 107 persone
in tre a giudizio per truffa e falso

Rieti, per il crac di Risorse Sabine che costò il lavoro a 107 persone in tre a giudizio per truffa e falso
di Massimo Cavoli
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Sabato 26 Maggio 2018, 08:17 - Ultimo aggiornamento: 13:01
RIETI - Si riduce il numero degli imputati rinviati a giudizio nell’ambito dell’inchiesta su «Risorse Sabine», la società partecipata dalla Provincia di Rieti, finita in liquidazione e poi nel vortice di un’inchiesta della Finanza sul corretto uso dei fondi erogati dalla Regione Lazio per garantire l’occupazione a 107 lavoratori socialmente utili, tutti licenziati.

GLI IMPUTATI
In tre sono stati rinviati a giudizio per truffa aggravata e falso (Giovanni Mascioletti, presidente della società, Baldovino Cattani e Guglielmo Tariciotti, due ex dipendenti), mentre un quarto, l’ex segretario della Provincia, Guglielmo Stanzione, coinvolto in veste di consulente, ha patteggiato in sede di udienza preliminare davanti al giudice Pierfrancesco de Angelis (l’attuale presidente del tribunale sta sopperendo all’assenza di un gip togato dopo il trasferimento di Andrea Fanelli) la pena a due anni concordata tra il pubblico ministero e l’avvocato difensore Mariella Cari.

Per un quinto imputato, Maurizio Lucantoni (difeso dall’avvocato Francesco Inches), presidente di «Rieti Turismo», società poi assorbita da «Risorse Sabine», il gup ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio per un vizio di procedura, ordinando il rinnovamento di alcuni atti di indagine, tra cui l’interrogatorio dello stesso.
Altri due indagati, la dipendente di «Rieti Turismo» Irene Urbani e il consulente Antonio Cruciani, erano già usciti di scena dall’inchiesta dopo il proscioglimento disposto dal gup al termine delle indagini, in quanto risultati estranei da ogni ipotesi di truffa e solo meri esecutori di ordini impartiti da altri.

La difesa dei tre imputati superstiti ha tentato anche la carta dell’incompetenza territoriale indicando Roma, e non Rieti, il luogo dove si sarebbero consumati i reati, ma l’eccezione dell’avvocato Antonella Aguzzi, legale di Mascioletti, non è stata accolta dal gup.

Resta ancora da definire il ruolo di due funzionari dell’assessorato al Lavoro della Regione - indicati nel corso di alcuni interrogatori come coloro che fornivano precise istruzioni sull’utilizzo dei soldi erogati dalla Pisana - la cui posizione è attualmente all’esame della procura romana.

I FONDI DELLA REGIONE LAZIO
Tutta l’inchiesta è ruotata attorno ai circa tre milioni di fondi ottenuti dal 2011 al 2015, certificando corsi professionali mai effettuati, affidando incarichi di docenza inesistenti e redigendo falsi elenchi del personale.
La difesa ha sostenuto che fino a quando la Provincia è stata in grado di anticipare i soldi per gli stipendi dei dipendenti e il funzionamento di «Risorse Sabine», non ci sono stati problemi, sorti invece quando l’ente, penalizzato dalla riforma delle Province, ha dovuto fronteggiare i tagli al bilancio.

A quel punto, dovendo recuperare i soldi anticipati per conto della Regione, i funzionari regionali avrebbero indicato la soluzione per rendicontare i corsi di formazione ritenuti inesistenti e che gli imputati sostengono di aver portato a termine durante le attività lavorative, applicando un sistema definito «on the job».
 
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