Casamonica come 'ndrine, gli arrestati davanti al giudice scelgono il silenzio

Casamonica come 'ndrine, gli arrestati davanti al giudice scelgono il silenzio
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Mercoledì 18 Luglio 2018, 18:26 - Ultimo aggiornamento: 19 Luglio, 12:24

Gli esponenti del clan Casamonica non parlano. Nemmeno una risposta alle domande del gip, nella saletta dedicata del carcere di Rebibbia dove si svolgono i primi interrogatori di garanzia dei 33 arrestati della maxinchiesta. Il primo a comparire davanti al gip è stato Angelo Di Guglielmi che si è avvalso della facoltà di non rispondere. Domani sarà il turno degli esponenti di spicco del clan in particolare i fratelli Consiglio, Luciano e Antonietta Casamonica. La scelta del silenzio è stata fatta anche da Domenico Strangio, ritenuto figura di collegamento tra la 'ndrangheta calabrese e il clan romano. Nei suoi confronti i pm contestano la detenzione e la cessione di un «ingente quantitativo di cocaina». Ed è proprio sui rapporti intercorsi tra il gruppo di origine rom e le grandi organizzazioni criminali che l'indagine della Dda di piazzale Clodio potrebbe avere ulteriori sviluppi. Dalle carte dell'indagine emerge, infatti, che i Casamonica avevano strutturato l'organizzazione ricalcando in particolar modo le dinamiche tipiche delle 'ndrine calabresi e nell'ordinanza di arresto emergono contatti anche con Michele Senese, rappresentate della camorra campana nella Capitale, soprattutto per quanto riguarda l'approvvigionamento delle sostanze stupefacenti.

A raccontare della rete creata dai Casamonica è uno dei due pentiti. Massimiliano Fazzari sentito dai magistrati ha spiegato come nell'organizzazione funzionasse «come in Calabria». «Ognuno ha i suoi compiti - ha spiegato agli inquirenti - hanno un organigramma e soprattutto hanno un capo, proprio come i malavitosi calabresi». Altro elemento che sembra avvicinare il clan ai grandi gruppi criminali è l'assoluta disponibilità di armi. Tutti gli affiliati del gruppo erano in possesso di pistole. È sempre il collaboratore di giustizia a confermarlo. «So che sono tutti armati. Perché io ho tentato di venderne a loro ma mi dissero 'a noi non ci servono, ne abbiamò. Ne erano pieni». Dinamiche che ricordano le realtà consolidate della criminalità organizzata. Un modus operandi riconosciuto anche dalla Direzione Investigativa Antimafia che nel suo ultimo rapporto semestrale ribadisce come a Roma si evidenziano sempre più organizzazioni come quelle in Sicilia, Calabria e Campania. 

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